Una
cosa così piccola non avrebbe dovuto avere la necessità di pensare. Va bene che
il pensiero non è poi nient'altro che il mezzo che esprime il frutto
dell'intuizione, e poiché l'intuire è realtà della quale il pensiero può solo
raccogliere macerie, senza sapere quale sia stata la costruzione che,
crollando, le ha prodotte, sarebbe anche lecito dire che il pensiero avrebbe
conseguito risultati migliori se si fosse affannato con due aghi attorno alle
smagliature di una vecchia calzetta.
Sta
di fatto che sta cosa piccolissima pensava e, ovviamente, intuiva pure. Certo,
il suo intuire non è che si potesse definire proprio un intuire di qualità
superiore, era piuttosto un annusare, con lo spirito, cose sconosciute da
gettare in pasto a processi mentali che prontamente le decodificavano, operando
con uno stile da riconvertitore di rifiuti. La diossina, innalzata al cielo da
questo processo, a questa piccola cosa pareva poesia pura, che incidentalmente
sbordava, a volte, nell'elucubrazione trascendente.
Pur
essendo così piccola questa cosa era costretta, come tutto il resto
dell'esistente, a celebrare, con la sua presenza che aveva l'aria di non essere
necessaria, la Possibilità universale, la quale si esibiva in una creatività
così esagerata da avere, come unico limite, l'impossibilità. La Possibilità non
mancava poi di sottolineare, rivestendola di incongruenze ridicole, ogni
contraddizione alle sue stesse leggi, dando alla contraddizione il senso
dell’insensatezza che è giusto che abbia.
Insomma,
in questa piccola cosa ci stava tutto un universo, analogo a quello
mastodontico che riempiva una grandezza indefinita, perché si esprimeva
attraverso gli stessi suoi princìpi. Sarebbe forse più preciso dire che era il
mastodonte a seguire le leggi che regolavano le piccolissime cose di cui era
composto, ma non staremo qui a confonderci più del necessario.
Un
bel giorno, a immagine di un accidente cosmico imprevisto, questa piccola cosa
ebbe un contraccolpo strano, e il suo minuscolo apparato visivo mise a fuoco la
correlazione che legava il suo esserci alle ragioni dell'esserci di tutte le
cose. Fu un bruttissimo colpo per lei che, fino ad allora, era stata fermamente
convinta di potersi fare i cavoli propri, di nascosto da tutto e da tutti. In
fondo era l'unico vantaggio che le pareva di poter godere a essere così
piccola. Lo scoprire, di colpo, che tutte le sue intenzioni, i suoi pensieri e
gli atti scorrevano sullo schermo in technicolor del Creatore, che stava lì a
riderci sopra masticando pop corn, la rese timida e circospetta ancor più del
necessario, e le inflisse il sospetto che tutto l'universo costituisse una
trappola, al cui centro lei ci stava non solo a disagio, ma anche incazzata
nera.
Tutto
quel che le era, fino ad allora, apparso come il risultato caotico di un
rigurgito da cattiva digestione ora aveva acquistato un senso unico, preciso e
ineluttabile, almeno per lei, e in conseguenza di quel senso ai suoi occhi si
era resa evidente la direzione vorticosa che spingeva tutte le cose verso un
destino unico e incontentabile.
Non
era certo il pensiero di diventare una qualche sorta di cibo che la spaventava,
lei sapeva bene di essere disgustosa e troppo piccola per sfamare altri esseri,
ai quali lei aveva la missione di procurare una febbre terribile, che li prostrava
in abbondanti sudori, venefici e disintossicanti.
Lei,
piccola e spaventata cosa, si era sempre immaginata che quelle gocce di sudore
fossero elementi casuali, simili agli imprevedibili spruzzi d'orgasmo che
avevano le onde dell'oceano, e che avevano come unico significato quello di
mostrare l'inconcludente e vanesia opera di un universo stupido.
Ora,
a causa di un infido colpo di luce che si era ricordato di lei, questa piccola
cosa era precipitata nella certezza che anche la più minuta goccia di quel
ribollire costituiva un accidente che non poteva dirsi casuale, e non poteva
proprio perché era parte ed effetto delle leggi che regolavano il liquido
inebriante che intesseva l'esistenza di ogni realtà, la propria compresa, e
capì che il suo sudare, il suo piangere e il suo sanguinare veleno erano parte
di un progetto libero il quale, attraverso la libertà di spruzzare in tutte le
direzioni, seguiva un solo ed essenziale senso, sempre lasciando a tutti la
libertà di intuirlo, seguirlo o lasciarlo dietro di sé.
Tutte
quelle goccine, minuscole quasi quanto era lei, erano libere di scontrarsi,
sommandosi o dividendosi, innalzandosi o abbassandosi, entrando o uscendo, di
associarsi o di combattersi, e la guerra o la pace che da questa danza
prendevano forma, oppure morivano, erano arabeschi della medesima intenzione
trascendente che intesseva, con pazienza al di sopra del tempo, la propria
aspettativa di armonia universale.
Questa
cosa piccola si sentì ancora più piccola, spettatrice e attrice di una commedia
nella quale ogni elemento che la componeva scriveva da sé la propria particina,
e lo faceva attorno a una sceneggiatura che era stata sì imposta, ma era così
vasta da non negare la libertà di correggere, o di togliere, i suoi funerei
paramenti.
Era
un magnifico spettacolo quello che ora si apriva all'appuntito sguardo della
piccola cosa che, incantata, si era scordata di recitare il suo copione
naturale: produrre febbre la quale, innalzando la temperatura corporea
dell'essere che la ospitava, avrebbe aizzato le difese organiche di quel corpo
contro l'esercito dei batteri nemici che l'avevano infestato.
La
conseguenza fu devastante, e quel grande essere morì entrando di nuovo, ma in
un altro stato, nel ribollente pentolone cosmico da dove il suo destino avrebbe
voluto che lui ne fosse uscito in un più dignitoso e consapevole modo.
Chi
avrebbe potuto immaginare che, in tutto quello sbattere rimescolato di spruzzi
che velavano il proprio senso, si nascondesse la ricetta di una inaspettata,
possibile, e infinita libertà?
La
piccola cosa si accorse di dover morire insieme all’essere che l’aveva
ospitata, e si dispiacque che, per una sua mancanza, sarebbero morte anche le
altre piccolissime cose che in lei dimoravano.
Il
suo ultimo sguardo uscì dalla nuova consapevolezza sicuro di avere ancora altre
particine da recitare, nell’immane spettacolo che il vortice cosmico le avrebbe
imposto, per riparare all’errore di non avere adempiuto ai termini del
contratto silenzioso che la sua vita aveva stipulato con la morte la quale,
insoddisfatta del risultato, le avrebbe teso un’altra, movimentata, trappola.
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