domenica 7 settembre 2014

La gara del mondo

Più o meno, e in diverse misure, tutti mentiamo almeno un poco, il mondo stesso mente e, con esso, la natura, che si guarda bene dallo svelare le ragioni del suo esserci. In questo comune desiderio di abbellire una realtà, contaminata dalla verità, la menzogna si dà un gran daffare per correggere quelli che, per chi mente, sono limiti superabili con una bella mano di vernice. La parola, e con essa il linguaggio, pare si sia data lo stesso fine che ha il pennello di un pittore che deve vendere il proprio quadro. Questa competizione vede allineata, sulla linea di partenza, l'intera umanità. Tesa verso il traguardo dell'ipocrisia la voglia di apparire corre, suda, sgomita e sputa veleno contro tutti, nella volontà di esaudire i propri desideri. In questa gara, orientata verso il guadagno materiale, gli ultimi saranno i primi ad arrivare nello spirito che ha voluto il mondo, e non occorrerà spiegare il perché.

13 commenti:

  1. E non ti sembra aberrante il fatto che un pittore debba vendere un proprio quadro ed un poeta i propri versi al mercato? Vale a dire che si trasformi in commercio quello che dovrebbe essere un semplice ringraziamento generoso, solidale e spontaneo, da parte di coloro che si fossero sentiti elevare al contatto di talune Opere. Che c'entra dunque la professione con l'Arte?
    Vanno a creare... come se andassero in ufficio e si fanno pubblicità come fossero un'azienda!
    Ecco il problema: a forza di bei principi senza senso si è finiti per mescolare le carte, credendo che Arte ed Artigianato fossero la medesima cosa, per cui siccome gli artigiani erano costretti a vendere per mangiare, vale a dire a lavorare, ecco che si è creduto che anche gli artisti dovessero seguire la medesima sorte. Un artista si sforza, non dorme per giorni, patisce e getta sangue per una propria opera ma, assolutamente, non lavora. Mai.
    Burocrazia e Creazione sono concetti inconciliabili.

    Scusami lo sfogo ma quello è un tema che mi premeva ed appassiona.
    In effetti mi ero soffermato per dire qualcosa di differente: che leggendo altrove i tuoi commenti mi è parso riconoscerti che tu fossi l'unico degno di scrivere qualcosa di vero e notevole in questo mondo falso e pericoloso. Bada bene: è questo mondo ad essere falso, non i suoi utenti che ne sono vittime ignare. Contesto, induttivamente, falsante è il concetto.

    Sul fatto della Natura che non darebbe segni di sé forse ti sfugge qualcosa (e sfugge solo ciò che si trascura). A chi sa ascoltarla ed osservarla, cuore e mente mai troppo distanti, essa rivela il futuro. Infondo filosofi e profeti, pur così diversi nei mezzi, non raggiungono lo stesso fine dicendo le medesime cose?
    Se poi non si crede nei profeti è un altro discorso ma, intanto, è da valutare il fatto che quelli veri non chiesero mai denaro per le proprie affermazioni e la domanda che su di loro, ognuno sempre si porrà (nei secoli) - visto che molti di essi spesso diedero la vita e furono sempre perseguitati per la propria attestazioni - rimane invariabilmente una: «Ma chi glielo fa fare?»
    In effetti, nello scenario limitato del presente Natura e Dio sono la medesima cosa, mentre in un contesto più ampio e generale la prima - leggi pure: l'intero Universo - è solo una frazione infinitesimale del secondo. Il tuo imprecare contro Dio, che ho letto da qualche parte, mi è parso come la martellata di Michelangelo sul ginocchio di marmo del Mosè, quando accompagnò il gesto con un grido: «Dimmi... perché non parli?».
    Scusami se mi prendo certe libertà ma io sono una persona franca che afferma e non nasconde ciò che pensa; per cui mi sembra che tu, a causa della tua intelligenza e profondità di pensiero quasi irraggiungibili, a forza di parlare con i sordi, paradossalmente stia rischiando la cecità. Ecco, servirebbe fare più attenzione a quanto di non artefatto ci circonda.

    Prendile pure come Verità. D'altronde se ti dicessi altro, su ognuno dei temi di cui ho parlato, non farei che mentire.

    Con stima e simpatia
    Enrico

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  2. Arte e artigiano condividono la stessa radice, e le due figure hanno molti punti in comune che non riguardano il mantenersi vivi, ma il voler celebrare la magnificenza del mondo. Lo fanno in modi diversi, ma sono in moltitudine le opere, considerate d'arte, che sono inferiori in qualità e senso ad altre opere di artigiani. Il confine tra le due "professioni" è talmente labile che sarebbe opportuno definirne la natura. Per me è arte quella che rappresenta il mistero che è celato in tutto ciò che è, mentre è artigianato la produzione di artisti che, oltre alla rappresentazione della sacralità della trascendenza, onorano i mezzi utili al poter vivere in armonia con la natura. Nessuno potrebbe sezionare una Ferrari dividendo le diverse qualità delle abilità artigianali che l'hanno realizzata, dalla creatività di chi ha disegnato le sue forme. Quella Ferrari è più opera dell'artista o dell'artigiano? Essa è arte o prodotto di artigianato oppure dell'industria? Un quadro fatto gettandoci sopra secchiate di pittura o tagli di rasoio è arte?
    I profeti non fanno altro che comunicare il comunicabile di ciò che vedono direttamente, attraverso l’intuizione spirituale donata loro dal Cielo, adattando le verità che hanno visto direttamente, e senza la mediazione della mente che interpreta, nell'immediatezza della vista interna data loro dall’Assoluto, e adattano le verità osservate alle capacità intellettive dei diversi popoli del pianeta, e poiché esse sono verità di ordine spirituale, sono riferite essenzialmente al sacrificio di sé, e mai a un guadagno che non sia associabile alla conoscenza della verità. Lo fanno non svelando, perché non potrebbero essere compresi, ma rivelando, ovvero rivestendo di simboli, analogie e parabole le verità che sarebbero altrimenti inaccessibili nei loro princìpi universali, dai quali traggono origine e forza. Natura e Dio non sono la stessa cosa, perché Dio non è una cosa. L'Assoluto è nel suo "Non essere", perché essendo Causa del tutto, come sono tutte le cause anche nella dimensione relativa, perché a Sua immagine, essendo Causa del tutto, stavo dicendo, non partecipa ai suoi propri effetti né da questi può essere modificato. La realtà delle relazioni c'è in quanto mezzo asservito alla possibilità di conoscere, non solo attraverso la logica, perché quest'ultima è figlia della Verità, non causa, ed essendo essa contenuta dalla verità non potrà contenerla interamente a propria volta. Nessun contenuto può contenere la totalità del proprio contenitore, ma può dare una immagine delle leggi emanate da questo contenitore. La verità è necessariamente una in essenza e di principio, perché contiene in principio la totalità in divenire che ha, come origine e come obiettivo, la Centralità assoluta. Chiedersi se Dio esista è insensato perché Dio, o meglio l'Assoluto, dall'esistenza sarebbe limitato a causa del fatto che l'esistenza è costituita dall'insieme delle realtà incomplete e limitate alle quali essa è superiore. La relativa perfezione generale del tutto, quella che mantiene vivo l'universo, è data dalla somma dei disequilibri particolari dai quali è composta. Ogni espressione dell'esistenza, noi umani compresi, rispetto all'Assoluto è un artefatto simbolico, contingente e necessaria allo stesso tempo. Contingente perché sottomessa alla possibilità di essere che è divenuta atto, e necessaria a causa dell'essere un elemento inscindibile dalla totalità, della quale rappresenta una diversità irrinunciabile, perché espressione della potenzialità universale che diviene attuale per il non essere diviso in contrari e complementari dell'Assoluto.

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    1. Rifletti bene. I due mondi non hanno in comune che una cosa: i mezzi tecnici di espressione e ciò che li divide, il discrimine dei due ambiti che li allontana inconciliabilmente, sta nella serialità che riguarda la funzione artigianale e che è estranea al mondo dell'Arte.
      Molti dimenticano quel particolare che risponde ad un concetto di estemporaneità, a quel guizzo incontrollabile che appartiene solo a chi crea per puro piacere (degli altri). L'ispirazione non risponde a comandi mentre l'oggetto funzionale può essere riprodotto in qualsiasi momento. La composizione artistica non “serve”. Si svincola da qualsiasi utilità pratica, e ciò in riferimento alla sua funzionalità pressoché nulla rispetto al mondo sensibile, al punto che talune opere artistiche a molti non dicono assolutamente un bel niente. Al contrario, l'oggettività della funzionalità dell'artigianato è pressoché totale ed indiscutibile, al di fuori dei casi di manifesta incapacità dell'artefice. Checché si creda la maggior parte degli artisti morirono tutti di fame, cosa che di rado accade per gli artigiani. Il rapporto degli artisti si rivolge con domande e risposte espresse quasi con ferocia verso il proprio intimo, ed è in quella lotta suicida che si rappresenta la magnificenza del mondo. La tragicità della Vita.
      La nullità di alcune opere artistiche, di fronte alla grande capacità di alcuni artigiani dimostra solo quanto quei primi artefici non fossero che degli usurpatori, mentre i secondi dei veri artisti potenziali; fino ad un certo punto e per via della propria umiltà, neppure consci del loro grande talento. Ma quello è il modo più sincero di avvicinarsi all'Arte: vale a dire con attitudine di una semplicità che non chiede, bensì dà.
      Con questo è chiaro come io non voglia assolutamente distruggere o svilire il ruolo dell'Artigianato o, peggio, relegare i suoi membri in una sorta di riserva. Il fatto è che quando un artigiano scopre di avere delle capacità da vero artista ecco che egli abbandona un ruolo e ne riveste un altro. E ciò ha un ché di magico, quasi trascendentale per cui, senza cambiarsi di panni si scopre, come nell'esempio della Ferrari, che dei semplici meccanici posseggono doti sopraffine che li elevano e, soprattutto, li traggono fuori dalla serialità. E da qui la spiegazione di come uno scarso pilota e semplice meccanico, diviene un ingegnere (il dottor Enzo). Vale a dire per meriti sul campo.
      Ora per sintetizzare il concetto posso fare l'esempio speculare del mondo della “parola” che coinvolge due aspetti della “penna” (unico elemento in comune, quest'ultimo, che rappresenta sia l'ambito del giornalista che quello dello scrittore). Se la curiosità viene dichiarata come uno degli elementi all'origine dell'intelligenza è palese che la riproduzione a valanga di fatti ed avvenimenti di qualsiasi specie se dimostra un vivo intelletto ciò non basta certo a tramutare un giornalista in un capace scrittore. In assoluto.
      Non posso ampliare questo tema adesso potendomi perdere, ad esempio, nei meandri dell'ambito seriale del fumettista che diviene Artista che pure è un argomento interessantissimo, ma spero solo che si sia compresa la mia viva condanna verso coloro che si gettano nel mondo della creazione estemporanea - sin dalla partenza - come se si trattasse di un lavoro, per afferrare quanto veritieri possano essere considerati certi soggetti. E termino il tema globale asserendo che anche un riconoscimento economico maestoso frutto delle proprie Opere non chiarisce mai il conto (ed il contrasto) insito nel più profondo dell'animo dell'artista. Di contro, per l'artigiano, quel riconoscimento è proprio ciò a cui egli aspira. Il denaro dunque è la vera cartina di tornasole che attesta cosa sia l'uno e cosa sia l'altro. Il primo non lo cerca e se lo ottiene lo snobba. Il secondo se lo trova ha già raggiunto il suo scopo. in definitiva, l'artista resta sempre un dilettante.

      ./...

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    2. ../...

      Per quel che riguarda la causa non causata, è vero che Dio non possa essere considerato una cosa, ma per la rappresentazione umana del linguaggio occorrono riferimenti concreti. E la vicenda ricorda un po' la questione dei pittori surrealisti, i quali presero a dipingere con dovizia di particolari molto realistici una pipa precisando, con una scritta allegata all'opera, che nonostante le apparenze quella non era una pipa (bensì un semplice quadro). Cosa che non esclude che a chiunque fosse posta la domanda: “Cosa rappresenta quel quadro?”, la risposta risultasse invariabilmente la stessa: “Una pipa!”. Stesso concetto valido con le immagini ai muri delle scuole elementari con la mucca in effige a rappresentare la lettera “M”. E i bambini che dovevano imparare a leggere e scrivere senza pensare se quella fosse davvero, o meno, una mucca.
      Allora se il quadro non è una pipa neppure una pipa potrà mai essere rappresentata con dei pennelli in quanto inutile, e quello che la raffigurerebbe non sarebbe definibile un quadro bensì, semplicemente, quattro legni tenuti insieme da un collante: un mobile inservibile. Per cui nella raffigurazione dialettica, per semplificazione e chiarezza, noi parliamo di “cosa” come sinonimo di “essenza” o di “entità”, laddove uno dei sinonimi principali di essenza è proprio: “cosa”. Ad esempio il termine conosciuto da quasi tutti i popoli per indicare i Re è simile in tutte le lingue. In latino è: rex, che non è altro che è una derivazione del termine res, cioè “la cosa”, vale a dire che il Re è la rappresentazione del tutto (il popolo e le terre). L'essenza, è proprio la cosa, ossia il Rex e, per capirci ancora meglio: la Cosa si identifica con lo Stato (per cui il Re Luigi XIV, aveva pienamente ragione nell'affermare perentorio: «Lo Stato sono Io»!). Quindi Dio potrà essere, alla volta: “Cosa” nell'espressione ed: “Essenza" nel pensiero (o nel retro-pensiero). Ora, però, se io volessi esprimere il concetto di similitudine di cui stiamo parlando dicendo che Dio e Natura siano della stessa essenza, oltre a non rendere il concetto starei mentendo, poiché essi non sono assolutamente né della stessa essenza né una medesima entità, in quanto la Natura è parte mentre Dio è il tutto.
      E quando dico tutto intendo quel che la mente umana, limitatamente ai propri mezzi e a tale concetto, può comprendere e di quanto, attraverso il linguaggio, sia possibile esprimere dello stesso.
      Ora chiarito che quando parliamo di cosa in rapporto al Divino noi non dobbiamo mai intenderlo come sinonimo di semplice oggetto, per cui, tornando all'origine della vera questione, nulla toglie che Dio e Natura siano i medesimi ma solo per il presente, ovvero allo stato di quanto attualmente conoscibile o percepibile; cioè: qui ed adesso. Se tutto potessimo afferrare concretamente, e con lucidità ogni cosa esprimere, saremmo noi stessi Dio; per questo parlai di: attualmente, e di situazione contingente (al presente). Natura e Dio, dunque, sono assimilabili in quanto la prima emanazione del secondo. Vale a dire la Natura come espressione del Dio; e, in qualche modo, mezzo di trasmissione della Sua volontà diretta agli uomini. E da qui quel mio richiamo a prestare più attenzione ai fenomeni naturali del precedente post.

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    3. .../...
      Sui Profeti sono d'accordo, anche se la rappresentazione non sempre avviene per esemplificazione, vale a dire per immagini e parabole che rendano più agevole la comprensione del messaggio trasmessogli dall'Assoluto. Spesso essi hanno utilizzato un linguaggio non proprio comprensibile a chiunque. In effetti sovente vengono definiti ermetici. In riguardo ai Giudaici credo che non solo essi siano stati poco e male compresi (dal mondo attuale) ma addirittura poco studiati dal punto di vista tecnico. Se lo si fosse fatto ci si sarebbe accorti di come molti di loro non furono solo dei semplici messaggeri del Cielo, bensì anche veri e propri intellettuali, quando non veri e propri poeti. Uno su tutti Isaia, maestro della metrica e della musicalità nella parola. Con questo voglio dire che anche qualora non si fosse voluto credere alla veridicità dei suoi annunci lo si sarebbe dovuto perlomeno studiare come Artista. In realtà credo che ciò dipenda dal fatto di non voler aprire e rivelare un mondo di interpreti mendaci che hanno trasformato e relegato l'ambito religioso ad un qualcosa di oscuro, inaccessibile: vale a dire di poco attraente, affinché non si scorgesse il vero messaggio lì insito.

      Anche questo argomento è molto vasto e su di esso molto avrei ancora da dire, comunque ho notato - leggendolo da qualche parte - il tuo soffermarti sulla questione della rima in Poesia, il ché ti fa onore in quanto punto davvero nevralgico della questione. Tecnicamente, sul problema ,voglio aggiungere che una delle motivazioni più profonde di essa consiste nella sua musicalità intrinseca, cosa che ne favorisce la memorizzazione. La Poesia è tutta questione di parole ed immagini che non andrebbero mai dimenticate. La metrica e la rima garantiscono dal rischio dell'oblio. E i popoli (non i Poeti) hanno orrore dell'oblio.
      Ora, però, va tenuto presente che, laddove un testo è davvero profondo ed efficace, la Poesia può fare anche a meno della rima servendosi delle pure immagini ma lì, se ci si fa caso, è come se la potenza delle raffigurazioni siano di una tale bellezza che l'effetto rima avviene su un piano superiore impercettibile ai più. Ed è come dire che la rima c'è ma non si vede o, meglio detto, che viene percepita solo da parte di alcuni, come ad esempio accade per gli ultrasuoni da parte dei cani (ehilà! ...l'esempio).
      È il caso, quest'ultimo, del Russo Maiakovsky, o dei cosiddetti poeti francesi maledetti, in particolare di Artur Rimbaud, le cui immagini in versi sono talmente sublimi da supplire alla rima mancante, la quale ritorna come pioggia di vermiglio caleidoscopio (il quale, come è noto, presenta figure differenti ma che si ripetono con ritmo circolare semplicemente dilatato). Una rima di ritorno come il feed-back delle chitarre elettriche.
      Spero di essere stato compreso.

      Nella musica delle canzoni l'effetto è simile con una compenetrazione che permette alla melodia di essere più facilmente ricordata dalle parole rimate, e alla stessa di esaltare parti importanti del verso. Attraverso il ritmo, poi, viene raggiunto l'apice dello scambio tra i due mezzi.

      ...(segue ancora)...

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    4. (...)
      Nella musica leggera in origine si partiva dal testo che veniva musicato successivamente (ovvero: offrendo note ai concetti), mentre oggi avviene raramente, in quanto, paradossalmente, laddove si parla di testi impegnati poi avviene che le parole fungano semplicemente da riempitivo. Naturalmente si deve tenere conto che, fuori dall'accoppiata occasionale, entrambe le Arti hanno vite perfettamente autonome per cui si spiega come, a partire dagli anni sessanta in poi, il riappropiarsi della musica piena da parte delle giovani generazioni, di cui il testo obiettivamente rivestiva solo una parte comprimaria, ciò non rappresenti alcuno scandalo. Essi guardavano alle nuove note di una musica onnicomprensiva che era stata completamente dimenticata da almeno un secolo. Ora quei ragazzi - specialmente dei Settanta - senza rendersene conto costituivano il seguito, più che il rimpiazzo, dei grandi maestri del passato. Più che rifondato la musica Classica essi ne avevano riacciuffato un filo smarrito.
      A tal punto la cosa era spontanea (cioè che non se ne erano accorti) che, molti di essi, cedendo alle lusinghe di chi affermava che le loro note si avvicinavano a quelle classiche, credettero di ingaggiare orchestre per dimostrare quanto classici essi fossero (ad esempio i Deep Purple in Inghilterra con la London Simphony, e da noi i New Trolls con il loro Concerto Grosso, ed altri), perdendo in parte il senso del proprio cammino. Essi erano classici poiché seppero utilizzare in modo appropriato i nuovi mezzi e strumenti offerti dal progresso tecnologico (ad esempio il distorsore delle chitarre o le nuove tastiere, come il Moog, etc.), che esaltavano il rinnovamento insito nelle proprie potenti idee (musicali). Tutto era fresco e nuovo per quei ragazzi ed occorreva essere presenti al loro tempo.
      Classici poiché resteranno e saranno sempre imitati; classici per aver generato un flusso che spronerà altri, non per aver composto brani astrattamente riproducibili attraverso orchestre del passato (che per me, detto di passo, costituisce l'aberrazione di chi nulla comprende. Come di chi esegua Schubert con le mani sul piano e uno stuzzicadenti tra le labbra. E magari con la pancia piena in fase di predigestione).

      Concludo davvero adesso, con qualcosa che non faccia apparire tutto quanto sin ora espresso quale una sterile esercitazione, od un ripasso su materie già affrontate da altri o, peggio ancora, l'occasione per rendersi solo un po' più interessanti.
      I Profeti, anche quando parlavano oggettivamente difficile, o Alto, venivano compresi ugualmente dal popolo - e, forse, di più e meglio - giacché non era tanto l'orecchio di quelli a sentire quanto il proprio animo a percepire. Parabole ed altre esemplificazioni venivano confezionate più che altro per gli amministratori del Rito, che avrebbero dovuto spiegare ad altri, poiché proprio essi erano i più duri in comprendonio...
      Il semplice linguaggio è cosa ben più complicata delle immagini (qui, senza soffermarmici troppo, ti segnalo il rapporto tra Radio e Televisione o, meglio, la più complessa relazione tra l'udito e la vista).
      Il popolo è capace di capire meglio di chiunque altri chi mente e chi no. E da qui la mistificazione, la Babele delle apparenti facili comunicazioni del mondo attuale, affinché certi messaggi siano allontanati, in un rifiuto semplicistico, dal sentimento popolare. E il risultato è la solitudine incolmabile di ognuno, rivestita da qualche oggetto tecnologico alla moda, o da "parole abiti" che facciano sentire al passo. E... di ché? se non sulla via di una palpabile distruzione!

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    5. (...)
      Chi possiede doti eccelse d'intelletto deve sforzarsi maggiormente di altri ad abbassare il proprio Ego razionale e volgere il proprio orecchio alla semplicità. È il sentimento che prevale sul raziocinio, giacché esistono cose che la mente non potrà mai comprendere, laddove al cuore basta una semplice occhiata. E questo, se è risaputo, di volta in volta va ribadito fino a che non risulti assodato. Realmente.
      L'intelletto al servizio del sentimento e non il contrario.
      La nostra epoca sta preparando una catastrofe immane, mai vista prima nella Storia, che gli uomini in alto, i potenti - quelli cosiddetti illuminati - neppure immaginano, laddove buona parte del popolo è perfettamente lucido sulla questione. Ed è inutile specificare che l'innocenza di quei “sapienti” non costituisca affatto una scusa ma semplicemente un essersi piegati, da marionette, a chi preparava ogni cosa da dietro le quinte.
      Mi dispiace affermare drasticamente ciò ma è quel che si sta per compiere. Da parte mia posso solo aggiungere ed augurare che la tragedia non colga alcuno impreparato. Ho parlato dei Profeti affinché si comprendesse che certe cose sono state dette e ripetute da tempi immemorabili e mai credute, per via del tempo apparentemente interminabile trascorso per la loro concreta realizzazione. Non tenendo conto, però, di come il Tempo sia una conglobazione dei tre elementi: passato, presente e futuro, per cui le cose avvengono prima di quanto immaginato e dopo di quanto creduto, percependosi alla fine come tutto è simultaneo. Diciamo pure che nonostante la simultaneità o la sincronicità è stato dato un termine più che sufficiente per porvi attenzione.
      Non credo, per chi ritengo estraneo a questa Babele in quanto spirito veramente lucido e libero, occorrano altre spiegazioni.
      Quel giovane Superman, dall'occhio tumefatto e dall'aria sgomenta in effige - se sei tu Massimo - è in grado di comprendere ogni cosa alla velocità della Luce. Ne sono più che certo

      Cordialmente
      Enrico

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  3. La produzione seriale appartiene all'industria, e non all'artigianato di qualità. Non ho tempo di polemizzare tanto a lungo con nessuno. La conoscenza universale della quale espongo il comunicabile non è oggetto di polemiche.

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  4. SUL CAMMINO DELLA CONOSCENZA

    Due viandanti - “A” e “B” - si ritrovano su una strada e, discorrendo su questioni di trascendenza, percorrono un tratto insieme. I punti di vista di A e di B sull'argomento, però, sono talmente opposti che salta subito agli occhi come uno dei due dovesse trovarsi completamente fuori strada.
    Ma a B, che intanto aveva accelerato il passo, non interessava dimostrare chi avesse ragione e chi fosse in errore, importava solo che l'altro meditasse. Ma per quello, benché la loro passeggiata comune fosse terminata da un pezzo, “A” disponeva di un tempo addirittura incalcolabile

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  5. Storiella profana che parla di una "sapere" profano. La conoscenza iniziatica non è comunicabile, e i princìpi universali li si può vedere solo attraverso la comunicazione, immediata, diretta e sovra-razionale, col centro di sé. Il vero maestro trasmette l'influenza spirituale che apre la porta alla vista interna che è assoluta, e il compito suo è solo quello di accompagnare l'allievo il più in fretta possibile a che questo comunicare col centro sia realizzato.

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  6. Ora, posto tutto quanto da te detto, se io avessi inteso il tuo primo breve e frettoloso post di risposta (riguardo al poco tempo concessomi) come qualcosa di scortese e avessi voluto ricambiare il tono, avrei potuto semplicemente fare riferimento alla pur brillante intestazione iniziale, all'epigrafe di questa stessa rubrica, là dove si parla di “Indolente pigrizia di uno che scrive (...)”, ponendoti in contraddizione; ma benché non avessi affatto inteso negativamente la tua replica, col mio riferirmi al tempo sconfinato a tua disposizione per riflettere, ho fatto di peggio. E te ne sarai accorto: non ho evidenziato subito quella contraddizione evidente, bensì ti ho messo in contrasto con te stesso, che è diverso e ben più grave (così che se volessi fare dello spirito e ricollegandomi al mio concetto di Artista e del suo contrasto interiore, sul quale molto mi sono dilungato - e chiedo, qui, perdono per la lunghezza dei miei scritti ma detesto la superficialità - ecco che ai miei occhi hai immediatamente assunto quella connotazione: contrasto interno e grandi meriti di penna e di pensiero ma, come al solito sono serio e questo è quello che sinceramente penso). Ed allora ecco che la mia cattiveria all'apparenza gratuita ha un'altra spiegazione.
    Nonostante il senso dell'accenno al maestro da te fatto possa essere inteso, alternativamente, sincero oppure ironico la cosa, in realtà, non mi turba in entrambi i casi. E all'ora sull'argomento avrei da dire questo.
    Non ho tale velleità ma se qualcuno lo volesse io sono e sarò sempre lì.
    Tuttavia, se ci si fa caso, in qualche modo, sarei comunque un maestro terribile.
    Non parlo mai al condizionale su questioni decisive e sulla mia bocca non ascolterai mai il: “parrebbe”, il “sembrerebbe”, o il “secondo il mio punto di vista...”, ed altre furberie linguistiche care a molti se non a tutti. Insomma io avanzo senza scudi giacché non temo alcuno.
    Da me non percepirai mai un centesimo d'invidia; colgo al volo i meriti di chi mi sta di fronte e non simulo alcun falso pudore nel dichiararlo pubblicamente. Nascondere il merito altrui ritengo sia la legge dei mediocri in danno di intere collettività; per cui me ne ricordo sempre anche per senso di responsabilità.
    Non racconto mai frottole, ma quando gli altri lo credono tanto più si sommuove il loro sé.

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  7. Entro con una educazione tutta particolare, che sa di forza, nella vita altrui non limitandomi in alcun modo nei giudizi che esprimo con franchezza, non temendo affatto la gragnola degli insulti che come tumulto d'uragano contro di me potrebbe abbattersi, o il geo dell'indifferenza che potrei suscitare. Guardo l'indifferente con indifferenza e proseguo oltre, più contento di prima.
    Dell'ironia altrui neppure mi mi curo; potrei lanciarne a quintali anche sul più feroce dei sarcastici ma ne utilizzo poca, quasi con parsimonia, per non sprecare mai nulla per ciò che vale nulla (temendo ogni ora tentativi incontrollati di suicidio da parte delle vittime di turno).
    Considero il primo venuto come se fosse un vecchio amico d'infanzia, così che lo sconosciuto si sente attaccato da ogni parte e, al tempo stesso, avvolto e protetto come da una madre amorosa, se non addirittura apprensiva.
    Insomma se si vorrà cogliere il mio essere è che, più che un maestro, io sono un belligerante che non cerca allievi, quanto compagni in armi da addestrare a dissociarsi dal dal convenzionale per ridivenire Uomini (e se possibile anche bambini) ma che, se non li trova prosegue, fronte alta, contro vento, reimmergendosi in quella rutilante bufera che è la vita per riservare ad altri la sua scuola d'armi. Dritto e senza indugio. Sicuro di aver lasciato,, su ogni campo attraversato segni di battaglia così profondi da rendere impossibile, per alcuno, il solo pensiero di tornarci ad arare oppure a seminare.
    Il mio nome, già l'ho detto, è Enrico.
    Chi mi ama segua il mio vessillo: un drappo su cui flottano in campo bianco rospi e gigli.
    Anche solo ricercando, o seguendo a debita distanza e con prudenza le mie piste, restando certi del mio instancabile menar fendenti altrove e dappertutto. Per ogni altro il consiglio è di restarsene calmi e al proprio posto; nonostante la mia sufficiente pazienza ai miei nemici - e tu che mi ospiti non c'entri - porto scompiglio e sicura burrasca. Spesso cogliendoli nel sonno.



    NB
    Anche se è gradita la pubblicazione e una risposta, questa sarà la mia ultima replica. Chi vuol capire capisca: ogni cosa che andava detta l'ho detta, e su nessuna di esse badando al risparmio.

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  8. Bene, la conoscenza universale che espongo è per pochissimi e non serve ad aprire gli occhi di nessuno. Sarà l'Assoluto a poterlo fare per ragioni che solo l'Assoluto conosce. Se questa dottrina è solo per gli eletti a maggior ragione essa non dev'essere avvicinata da chi ha gravi problemi di personalità istrionica. Ti saluto, dunque, con estremo sollievo.

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