martedì 21 febbraio 2012

Detesto troppa gente che scrive


Mi definirei volentieri uno scrittore, se gli scrittori non mi stessero sulle palle. Sono quasi tutti dei palloni gonfiati convinti di avere un insegnamento importante da offrire. Io mi distinguo da costoro per il semplice fatto, anzi, per i semplici fatti, che più che insegnare tendo a demolire gli insegnamenti di altri. Non che ci sia troppa differenza tra l'insegnare e il distruggere; in effetti la diversità non sta nei modi, ma nelle ragioni che inducono a farlo. Intanto è utile ricordare che il mio ragionare è mio solo per la cattiva qualità del mio esporre verità che non sono il frutto di concezioni mie né, tantomeno, di altri individui come io sono. Io mi limito solo a sistemare le cose in modo che possano essere comprese dai pochi in grado di comprenderle. Non sono interessato a farmi capire da tutti, perché questo comporterebbe la riduzione del vero che espongo al livello su cui si trova il più imbecille tra questi tutti. Mai la verità deve essere ridotta perché diventi commestibile per chi ha solo denti canini. La verità è roba dura da mandar giù, soprattutto quando si capisce che non bisogna spezzettarla per renderla digeribile. Dunque la verità che espongo non mi appartiene, e non è conseguenza di idee, ma di un ragionare coscienzioso che deve il suo rigore logico alla verità dei princìpi che segue. La verità non è mai una conseguenza del semplice o complesso ragionamento logico, perché la logica è figlia della verità, non madre. Il mio caso, come è stato quello di altri metafisici che mi hanno preceduto, è quello di una persona qualunque, intelligente quanto basta per non essere del tutto stupida, che ritiene sia a volte conveniente ridiscutere false verità, accettate supinamente come vere soltanto perché, non conoscendo la fonte dalla quale sgorgano, ci s'immagina non sia importante conoscerla. C'è un'unica fonte di verità, ed è quella dei princìpi universali che ordinano l'esistenza di tutte le loro conseguenze. Questa conoscenza si dice metafisica utilizzando, per darsi un nome che significa poco, uno dei termini più falsificati e abusati al mondo. Essa è la conoscenza, immediata e diretta, dei princìpi normativi dell'esistenza. Nulla di mio né, tantomeno, di altri. Da questa consapevolezza nascono le cose che scrivo, e dalla stessa consapevolezza la coscienza che è poco importante scriverle, perché la Verità non ha bisogno di me come io ho bisogno di Lei.

lunedì 20 febbraio 2012

La morte arresta soltanto i limiti


Ora la sua vita gli si rivelava, con evidenza, per ciò che era sempre stata: un'affannosa ricerca di chiarezza messa in atto dalla sua sete di comprensione. Insieme a questo capì anche che la verità era stata insopportabile per lui, per questo aveva perseguito soltanto ciò che è comodo trovare. La verità dei princìpi non ama farsi scorgere dallo spirito tiepido delle intelligenze mediocri. Tutto era così incredibilmente chiaro, adesso che la vita gli si svelava attraverso il suo lato migliore, quello che ti offre altre e diverse possibilità per essere amato dalla verità: la morte dei tuoi limiti.

domenica 19 febbraio 2012

Scrittori precari


Una generazione, anzi no, due generazioni di imbecilli cronici mi stanno davanti agli occhi. È sicuro che anche la mia di generazione non era poi tanto dotata, considerato che è genitrice di queste due che mi stanno sui coglioni, ma a tutto c'è un limite. E questo non dimenticando che a loro la mia pazienza è dovuta, se non altro perché io stesso sono stato oggetto della stessa pazienza, quando sventolavo, anche se con meno energia ed enfasi di quanto si gongolino a fare questi imbecilli, ai quali dedico queste mie brevi considerazioni.
Non si tratta di essere degli scrittori che si sentono offesi da altri scrittori deficienti, no no, qui è questione di intelligenze ridotte ai minimi termini dai vizi molli e dalle pappine sintetiche che i fricchettoni, ex sessantottini perduti, hanno rifilato loro. Freak che oggi propinano alle menti deboli, incantate dalla pubblicità dei riccastri, le ricette per essere infelici senza saperlo. Ma che gentaglia è questa che anela al successo e alla visibilità che spinge al trionfo dell'idiozia? Scrivono cose insulse per minorenni arrapati che si toccano di nascosto, illudendosi che la coscienza sia il risultato delle idee, e così annaffiano il loro pensato di ipocrisia, sentendosi avanguardie del diritto e della conoscenza. Ho provato, contro ogni consiglio dato dagli antichi infelici, a sondare la loro capacità di discernimento; ho parlato di princìpi, di cause e di effetti, di attenzione agli infinitesimali movimenti dell'animo e alle ragioni infime che si vestono di allori, ma niente. Avevano ragione coloro che sapevano aspettare nel silenzio che la vita muovesse i suoi pesanti passi che fanno tremare le illusioni.
Sono quasi incazzato con questi cretini che si compiacciono di essere diversi, orientati, come sono, verso il basso delle loro possibilità. Sono appartenuto anch'io alla follia, ma non ho mai perduto una sola e piccola occasione per riflettere sui miei errori e per cercare di mettere a fuoco un orizzonte più lontano di quello che mi si sgretolava tra le dita. Sapevo che doveva esserci, perché è nella natura di ogni orizzonte allontanarsi per essere cercato. Questi stronzetti letterati del cazzo, laureati col master, sparlano a vanvera di valori che non hanno, scrivono a casaccio per stupire con una creatività supina che distrugge, ingabbiando la libertà interiore col luccichio del desiderio dei sensi. Sono piccoli umani che camminano sulla punta delle loro scarpette da ballo, in raso e ossa, regalate da genitori delusi che conoscono i loro polli, ben sapendo che non è conveniente spiumarli perché stanno in piedi su un'ossatura tenuta insieme dalle piume. Scrivete pure, ragazzini adulti, e non chiedetevi mai chi siete in realtà, perché per saperlo bisognerà essere forti di stomaco.

Il Non essere e l'essere


Capire la realtà è difficile ed è possibile farlo solo quando le si è al di sopra. Al di sopra non sarebbe proprio l'espressione giusta, perché è riferita alla dimensione spaziale, e l'estensione che implica lo spazio costituisce solo un ristretto piano della realtà. Qui uso questo modo di dire in un senso analogico con le stesse restrizioni che avrebbe se avessi detto "al di fuori". La realtà che tutti vediamo perché viviamo è manifestata, e noi con lei. Eppure è evidente che il manifestato non è il tutto, perché ciò che deve ancora manifestarsi, così come quello che non è suscettibile di farlo, non appartengono alla manifestazione. È manifesto tutto ciò che ha forma; forma che caratterizza un limite. Il non manifesto, l'informale come è un'idea prima di essere espressa, appartiene alla Realtà che non abbiamo altro modo di chiamare diverso da "Non essere". Il "Non essere" deve necessariamente contenere in potenza l'Essere e, dunque ha, nei confronti dell'essere, un rapporto di superiorità sia logica che ontologica. Anche temporale perché il "Non essere" non è sottomesso alla durata temporale. Dal punto di vista della manifestazione si deve dire che l'essere è contenuto dal Non essere, mentre da quello della Non manifestazione è il Non essere che sta al centro dell'essere. Questo stare al centro significa che ogni essere ha in sé l'Infinito senza limiti del Quale rappresenta una delle Sue infinite possibilità di manifestazione. Questa centralità, identica per tutti gli esseri, è quella che consente all'essere di poter concepire l'Eterno, inconoscibile perché infinito. Tutti noi siamo espressione della molteplicità attraverso la quale il Mistero rivela di "Non esserci" pur essendoci accanto.

sabato 18 febbraio 2012

Il "Disegno di Dio"


Doveva ripartire d'accapo, riprendere la sperimentazione dall'inizio, perché lì era stato commesso l'errore che l'aveva portato a non comprendere il Disegno di Dio. Prese il contenitore di rame, lo svuotò con cura, lo rese lucido e ci pisciò dentro come aveva fatto in cinquanta anni di ricerca. Poi diede un colpetto al rame con una bacchetta d'oro zecchino. Le vibrazioni si trasmisero al liquido con lievi ondeggiamenti concentrici e superficiali, che mutarono forma assumendo l'aspetto di piccole onde rotanti verso il centro del paiolo. Colpì ancora il bordo sul lato opposto e le onde divennero spruzzi, perdendo la loro concentricità. La meraviglia gli si mostrava nella bellezza di un disegno caotico eseguito da gocce che parevano rugiada dorata, disposta secondo uno schema misteriosamente affascinante. Posò una lastra di rame a coprire quel piccolo mare agitato, e sopra stese una velatura leggera e uniforme di ammonio bicarbonato.
Quello che era sembrato essere un infrangersi di flutti caotici, nel bacile sottostante, indusse vibrazioni umide che provocarono i cristalli d'ammonio, orientandone la disposizione in magnifici arabeschi i quali, a contatto col solfato di rame della lastra, lasciarono impressa quella che il ricercatore aveva ritenuto dover chiamare "Il Disegno divino". Terminato il processo afferrò la lastra, la guardò stupito e la mise insieme alle altre in quella che aveva chiamato Biblioteca dell'Impronta. Erano arabeschi bellissimi e tutti diversi tra loro, nel mostrare i motivi che stavano ordinatamente nascosti dietro all'apparenza caotica dell'esistenza.
Doveva ripartire d'accapo, riprendere la sperimentazione dall'inizio, perché lì era stato commesso l'errore che l'aveva portato a non comprendere Il misterioso Disegno di Dio.

giovedì 16 febbraio 2012

Molte esistenze sono da incubo


L'esistenza è un fatto strano, che di solito corrisponde a un'avanzata della quale i corpi degli altri esseri viventi incontrati non devono ostacolare il procedere frenetico. Non raramente è una serie di accelerate e di soste dove si accumulano, oltre ai guadagni, anche le vittime lasciate dietro si sé. Ci sono persone le quali, rifiutando di spintonare gli altri nell'arrancare di una marcia forzata che condurrà al nulla, aiutano il prossimo alleviandone le fatiche e la sofferenza. Queste ultime sono considerate stupide e ingenue dalla gran massa dei camminatori che è convinta la vita sia un folle incubo, e che ignora la vita sia veramente un incubo solo quando non si concede il proprio aiuto.

Un dover morire anticipato


L'attività perenne dell'universo l'aveva spaventato fin dall'inizio. La sua era stata una nascita dolorosa, ma alla fine ce l'aveva fatta a guardare, anche se solo per uno spicchio d'istante, il sole, il quale gli aveva mostrato quanto fosse impegnativa la competizione con la luce che risveglia un'esistenza amante del sonno. Molte volte i suoi pensieri erano stati attratti dalla possibilità di una morte anticipata. Una fine prematura gli era sembrata attraente nel suo poterlo liberare dai pesi che l'essere vivo portava con sé. Ora, che era certo di dover morire in un modo diverso da quelli che aveva pensato auspicabili, si chiedeva se dopo la morte altri pesi si sarebbero presentati per chiedere di esser sollevati dal suo coraggio. L'illusione rappresentata da ogni evento che corre era lì, davanti alla sua intelligenza, e solo una forza interiore poteva aiutarlo a vincerla. Una forza che trae il proprio potente equilibrio dal modo in cui la verità è stata amata e onorata anche quando non era stata conveniente. Non aveva altra scelta che morire con dignità, perché intuiva che quello sarebbe stato il modo per rendere più trasportabili i pesi futuri e per migliorare il ricordo che lasciava di sé.
Moltitudini di esseri si erano rassegnati prima di lui e adesso, che era giunto il suo momento, non doveva sprecarlo.
Alzò gli occhi al Cielo, dove le nuvole morivano di continuo per far posto allo splendore del sole, ma non pianse, né per loro e neppure per sé.

Psicoterapia analitica



Il giorno stabilito per l'appuntamento l'ing. Rubizzi era stranamente meno agitato del solito, come se il solo fatto di aver deciso di risolvere i propri problemi avesse già iniziato a risolverglieli, e si sentiva come si sente uno che non sa nuotare e che si trova a mezz'aria, mentre esegue un tuffo da grande altezza che un suo conoscente, in vena di scherzi pesanti, l'aveva spinto a fare; spinto naturalmente da una roccia, nel vero senso fisico del termine... Ora non gli restava altro che trattenere il fiato, chiudere gli occhi, tendere le mani in avanti e suonare il campanello. Il "clic" di un automatismo gli aprì la pesante porta blindata e lo introdusse nell'anticamera, vuota come i libri che riempivano i suoi scaffali. Lo psicoterapeuta aveva arredato la camera obbedendo alle linee cognitive della sua professione, e quei libri erano copertine vuote, incollate tra loro, ma intarsiate da bordature dorate, fasulle come le terapie che rimestano nel subconscio dei pazienti, protetto dalle caratteriali incrostazioni corazzate da demolire. Cosa si sarebbe scovato sotto costituiva materiale per far sbellicare dalle risa i colleghi al club dell'Ordine degli psicologi, dove i professionisti della ricerca interiore applicata al disperato di turno, trascorrevano il tempo libero facendosi di cocaina come il precursore della psicanalisi e loro mentore dott. Freud. Il nostro professionista era, però, junghiano e detestava la coca, preferendole nerborute canne di marijuana e moderate dosi di psylocibina. L'LSD lo somministrava ai pazienti in sedute segrete che si svolgevano in una stanza, con le pareti imbottite, che gli psicologi avevano affittato e utilizzavano a turno, a volte coi pazienti e altre volte con le amanti. In mezzo alla sala d'aspetto dello studio dove l'Ingegner Rubizzi stava seduto a due dita di distanza dal cuscino sottostante, perché aveva, tra le altre patologie, anche quella dei batteri che gli tendevano agguati nascondendosi ovunque, su un basso tavolino erano ammucchiate in disordine alcune riviste che pretendevano esaurire la stupidità del lettore da tutti i punti di vista possibili. Rubizzi ne prese una con la copertina patinata che mostrava una Porsche camperizzata. L'attrasse l'associazione della velocità pura che si trascinava appresso il peso della famiglia. Naturalmente si trattava di un fotomontaggio, ma nessuno che si trovasse nell'anticamera di uno psicoanalista avrebbe potuto vantare la lucidità per accorgersene. Finalmente lo Psicologo conosciuto al Poligono di tiro al piccione, spalancata la porta del suo studio a grandi vetrate che davano sul terrazzo pieno di piante di plastica, lo invitò a entrare. Rubizzi si guardò intorno e si sedette, discretamente imbarazzato, sul divano anatomico in pelle sintetica, succhiandosi il labbro malconcio. Lo psicologo si presentò col distacco di chi non ti ha mai visto:- Piacere, Mario, Robespierre per i pazienti...- poi si rilassò in una risata cristallina dicendo, dietro a occhietti scaltri:- Non ci sarai cascato, vero?- L'Ing. Rubizzi si sentì improvvisamente felice e smise di martoriarsi le labbra, cominciando a strapparsi le pellicine attorno alle unghie. Il primo e fondamentale passo, nella cura che lo avrebbe riportato a una normalità che non aveva mai conosciuto, era stato compiuto con successo. 


Anche gli stupidi si sentono, occasionalmente, a disagio.



Oggi ho fatto la mia cazzata settimanale. Dalla strada giù in basso ho pensato fosse una cosa poetica salire fino a casa mia con giù la neve ghiacciata, dove i ragazzi scivolano col bob. Naturalmente la neve pressata con i - 17° della notte si trasforma in lastrone da incubo, ma io sono scemo e ho fatto finta di niente. La pendenza non si vede bene perché la foto presa dall'alto schiaccia l'immagine, ma in certi punti si fatica a farla a piedi con l'erba d'estate, figurarsi con la neve pressata e senza catene. La faccio in terza e poi seconda al pelo di gas, e man mano che salgo mi si fa lucido un futuro a rotoloni. Infatti sulla rampa finale arrivo troppo lento e appena do gas l'auto s'impianta. Metto dei fermi alle ruote e lego la corda a un albero, poi due ore di pala e fascine e qualche angelo che parlottava coi parenti defunti che sanno della mia situazione finanziaria. Alla fine riesco a portare la toyota al mio terreno, e la lascio lì senza il coraggio di guardarla nei fari...

Roma caput mundi


Il detto latino "Roma caput mundi" in realtà non esprime il significato che tutti attribuiscono a questa frase sibillina. Vediamo di scomporla nelle sue parti costitutive, per analizzarne il contenuto da un appropriato punto di vista culturale, che si distingue da quello coatto per la delicatezza con la quale viviseziona la presente locuzione:

"Roma": e qui non ci piove, siamo tutti d'accordo sul fatto che pare voglia indicare quella città, edificata su sette colli perché aveva impellenti problemi dati dal resto del mondo, che voleva preventivamente raderla al suolo prevedendo i futuri sviluppi che avrebbero avuto i suoi confini.


"Caput": qui nascono le principali controversie su un termine che ha mostrato una terrificante elasticità nel suo indicare sia una centralità, inizio di ogni avventura, che la sua fine, sempre centrale, certo, ma meno auspicabile. Noi uomini colti tendiamo ad assegnarle la valenza universale che le diedero i crucchi nei campi di sterminio. Questo lo facciamo perché i romani si sono trastullati invadendo i popoli civilizzati del pianeta nel tentativo di diffondere quei valori oggi rappresentati in campo da Totti quando prende a calci, dandoli da dietro, Balotelli. 


Infine c'è...


"Mundi": che è il modo dei romani di chiamare il pianeta Terra, dopo che è stato mondato da tutti quelli che non rientravano nello statuto della tifoseria romana...

venerdì 10 febbraio 2012

L'evoluzione


L'auditorium era percorso da un brusio uniforme e fitto il quale, dal suo ronzare in alto guardava, seduta in basso, la ragione del suo esistere: una moltitudine di studenti agitati dalla notizia che, quel giorno, la lezione di scienze l’avrebbe esposta addirittura un professorone, insignito della prestigiosa onorificenza concessa dal miglior gota scientifico e letterario che l'umanità possa vantare, quello che pungeva il petto degli scienziati e dei letterati col premio Nobel.
Il silenzio entrò col professore e anche il rumore si sedette in attesa spasmodica, oggi avrebbe saputo aspettare pur di cogliere l'essenza della vita che era, per lui, ancora troppo poco rumorosa.
L'uomo si avvicinò al microfono, ci soffiò sopra per testarne il timbro e uno sputazzo si nascose veloce nella spugna nera e fetida.
— Buongiorno cari studenti enti enti…— disse, senza trasporto emotivo. 
Lui li detestava uno per uno quei giovinastri, perché si sarebbero bevuti il suo sapere con la stessa sete irriflessiva che aveva avuto lui quando si era ubriacato, da giovane, delle stesse melense ipotesi alle quali aveva interiormente smesso di credere, dopo la tragica e inspiegabile morte della sua amata moglie.
Iniziò, flemmatico, a infilar parole su una collana di conoscenze che non avrebbe mai trovato chiusura:
— Il sapere dell'umanità ha fatto passi da gigante da quando la sinfonia espressa dalla sola nota dell'antico conoscere si è complicata nel magnifico concerto che innalziamo al cielo oggi— il microfono stridette a questo dire, fastidiosamente nevrastenico in un sovrapporsi di decibel che anticipava quello delle nuvole, e il cui suono stonava peggio di quella sola nota appena evocata. 
Appena si calmò quel riverbero, continuò, innervosito dall'ostilità dell'impianto sonoro e da una strana oscurità che scivolava giù, attraversando le finestre, dall'alto dell'enorme salone.
— La cultura ha preso forma dalla concentrazione delle intelligenze, in lotta contro l'oscurità delle profonde caverne dell'animo, e ha contribuito ad affinare lo spirito di un'umanità che si è così unita, abbracciandosi nella consapevolezza di una ricchezza rappresentata dall'armonizzarsi delle proprie, apprezzate, diversità— il silenzio, che era entrato col professore, a questa affermazione si vergognò orribilmente e decise di andare a sedersi accanto al brusio, sperando di confonderci dentro anche il proprio pensiero che, se fosse stato espresso, sarebbe stato un vomito freddo.
Il timbro della sua voce si impostò sui bassi, come si usa nel declamare verità inconfutabilmente precise, o quando si spera di non far fischiare il microfono.
— Quelle stesse intelligenze che sono ora sedute a un passo dallo scoprire la loro origine—
Una vocina secca si alzò irridente dalle scalinate piene, senza che un solo volto ne tradisse la paternità.
— Cadute, vorrà dire!— 
Uno stato d'animo da combattimento di galli, ondeggiando rapido tra gli astanti, insinuò loro l'aspettativa di una risposta, lampeggiante nel fuoco di un unico e molteplice sguardo che al professorone parve un chiodo da crocifisso.
— No!—
Si riprese svelto, in un accenno con il dito che voleva indicare l'alto, ma che s'infilò subito, insieme alla mano di cui faceva parte, in una meno compromettente tasca dei pantaloni.
— Intendevo in attesa nella profonda riflessione—
Aggiunse rapido.
— Perché la comunità scientifica è stanca di lastricare il proprio percorso di teorie fallimentari—
Concluse, disprezzandosi così intimamente da neanche accorgersene
— Ora abbiamo la Macchina al Super-protosincrotone che ce lo consente!—
Brusio e silenzio si scambiarono di posto inorriditi, mentre gli studenti sobbalzarono di meraviglia. Già il nome pareva loro meno roboante di "Fulmicotone" e questo parve bastare loro per non fischiare il professore, anche se questa affermazione suonava simile a quella, fatta l'anno prima, sulla reazione nucleare a freddo, e che si era poi rivelata essere una bufala, sparata da scienziati che ancora occupavano i letti del reparto "Grandi ustionati".
— A me è sembrata essere una bicicletta!—
Insinuò la solita impersonale vocina, spuntata dalla massa in attesa di spiegazioni
— Quella la uso per non inquinare l'aria!— replicò imbarazzato il Nobel
— Ah... perché ne è rimasta ancora?— stuzzicò la voce sommersa.
Il professorone finse di non sentire e s'inoltrò nella descrizione della misteriosa macchina:
— Fucilate di protoni, attraverso una cascata di acceleratori proto-sincrotonici, che spingono questi protoni a energie relativistiche, producono fasci di spaventosa energia che vengono, a loro volta, sparati attraverso delle linee di transfer che si dispiegano, cento metri sottoterra, per una trentina di chilometri. Quando la circolazione dei fasci di energia si sarà stabilizzata e accordata, i fasci saranno fatti entrare in collisione tra loro...—
— Magari!— disse il solito facinoroso comunista, seduto in ultima fila.
Con un gesto enfatico e commisurato all'evento, il professore lasciò che l'intuito degli studenti anticipasse loro, attraverso l'immaginazione ispirata, quali vantaggi avrebbero potuto godere le nuove generazioni da quel microscopico Big Bang artificiale: finalmente l'uomo sarebbe assurto alla dignità di co-creatore con un Dio il quale, prima dell'Homo Scientificus, era stato solo un passabile apprendista.
La platea giaceva ammutolita e ammirata da quel futuro radioso che stava accelerando la sua meravigliosa corsa, senza più tentennamenti, e si raccolse in gruppi disordinati, fuoriuscendo dai banchi di vecchio e pregevole legno, intarsiato ancora a mano da un ormai remoto passato. Come erano ridicoli quegli arzigogoli nel legno di quercia, in confronto agli intrecci di cavi sotterranei percorsi dal tumultuoso genio umano.
Quelle migliaia di giovani speranzosi stettero ancora a lungo, fuori dall'Ateneo, ad annodare ipotesi coraggiose attorno all'incredibile utilità del poter creare dal nulla, mentre il professore cercava, senza riuscirci, di rimettere la catena della sua bicicletta sulla corona della quale si era, simbolicamente, liberata.

mercoledì 8 febbraio 2012

Differenza tra un racconto e una storia

Non è detto che una storia breve debba necessariamente iniziare con "C'era una volta...", anche se bisogna riconoscere che sempre una storia, quando è stata breve, vive nel passato. D'altra parte non si deve dimenticare che la storia si differenzia dal racconto per il suo esiguo grado di aderenza al vero. Per questo, quando si vuole accusare qualcuno di dire balle, si usa l'espressione "non dire storie". Inversamente, l'espressione "non raccontare", indicherebbe che non si vuole ascoltare la verità. 
Non è nemmeno vero che un micro racconto corrisponda a una piccola verità, perché in poche parole è sempre possibile enunciare grandi verità, come quando si domanda a un condannato alla forca cosa vorrebbe mangiare al suo ultimo pasto.
In definitiva si può affermare che il racconto breve non si pone dei limiti, mentre la storia è breve perché non si aspettava che la verità riuscisse a interromperla.

Giustificativo

Come si fa a scrivere delle storiellette brevissime in un mondo che ha il vezzo di tirare alla lunga anche i più piccoli fatti che accadono nella vita di ognuno?
La morte, per citare a casaccio, dovrebbe, causa la sua natura non equivoca, finirla subito e, invece, si ritrova assegnata dalla vita un'interminabile serie di diluizioni che si esprimono nell'agonia, che si risolve nel coma il quale, addirittura, include la possibilità di risvegliarsi affamati per morire subito dopo, ma a pancia piena. Bene, io mi prenderò la briga di scriverle queste microstorie, così da mostrare il lato migliore dell'esistenza, quello che la fa finire in fretta...

Il mio personaggio preferito

Il mio personaggio preferito è molto schivo e non invita nessuno nella sua grotta, anche perché non è proprio del tutto sua; l'ha occupata quando si drogava, ma non si può ancora dire che abbia smesso di stravolgersi la sfera psichica, la quale non è neppure sferica del tutto. In compenso è molto psichica, tanto da non far sfigurare il personaggio in questione quando gli si dovesse attribuire l'attributo di "psichico", ma neppure stonerebbe quello di "psicoattivo". Il suo frigo è piccolo ma monumentale, nel suo essere necessario: contiene sostanze la cui natura è pericolosamente termo-labile, categoria vastissima che comprenderebbe persino i pesci, ma nel nostro caso coinvolge solo LSD e Mescalina. La Psylocibina no, perché la tiene in forma disidratata nella credenza, insieme al pane di cui va ghiotto (ghiotto di Psylo ovviamente). Lui pensa che il frigo sia un'invenzione che relega quella della ruota nelle retrovie delle scoperte utili, ma sa di esagerare quando lo dice perché la sua ricerca interiore ruota attorno a tutto ciò che fa ruotare l'orizzonte psichedelico che il suo sguardo incornicia. Appena si riprende gli faccio interpretare una storia...