giovedì 30 giugno 2016

La fame nei nostri occhi

Quanto poco conosciamo della realtà che ci assilla di coccole e punizioni, noi umani incapaci persino di valutare le caratteristiche più evidenti del mondo che ci ospita, così riottoso nel suo essere in disaccordo con l'affermazione biblica che ci assicura di essere nel diritto di proclamarci padroni di un mondo da sottomettere ai nostri bisogni. È evidente che la Bibbia non si riferisca ai bisogni dell'attuale epoca di veleni, ma a quelli che sono in armonia con le necessità che ha la natura per poter sopravvivere.
In questa corsa, dedicata al riempirsi le tasche bucate dell'egoismo, il dover lasciare alle nuove generazioni un pianeta in condizioni decenti ci pare essere un'esagerazione, inventata da chi ha intenzione di sottrarci un possibile benessere alla portata dei nostri insaziabili artigli, teoria suffragata dal fatto di avere educato i nostri figli all'egoismo sfrenato, che ce li fa apparire come fossero dei piragna pronti a seppellire i nostri scheletri scarnificati.

A sostenere il nostro perverso approccio all'esistenza ci soccorre la sensazione di essere alla fine di uno spettacolo, che ci è concesso di vivere mentre con lo sguardo incollato all'orrore che suscita una fine imminente... sgranocchiamo gli ultimi pop corn troppo duri e salati, che ancora restano in un contenitore esagerato, ma meno grande della fame nei nostri occhi.

mercoledì 29 giugno 2016

Istanbul 1978

Istanbul è città che si allarga per una settantina di chilometri di follia, irraggiata in tutte le direzioni, forse anche verso l'alto e il sottosuolo. Lì si possono incontrare vecchie auto americane, come si trovano solo a Hollywood e a Cuba, ma con montati sotto al cofano fragorosi e fumosi motori di Pulmann. Spesso queste auto non hanno nemmeno la targa. Per le strade tutti suonano senza interruzione i clacson, più facilmente le trombe, dei mezzi che guidano in uno sbuffare ansioso che pare di animali meccanici, coscienti in misura maggiore dei fanciulli che li stanno guidando, riverenti soltanto a tutto ciò che mortifica, senza freni inibitori, l'intenzione di dare importanza alla vita del prossimo. 
L'incastonarsi, in tutta questa selvaggia baraonda, dell'anelito innalzato in preghiera del Muézzim, pare un atto di salvataggio estremo verso una città deforme che nel suo intimo vorrebbe morire di gioia estrema. Camminando insieme alla selva di gambe che pare non avere una sua destinazione, incrocio un gatto verdastro che pare intuire il mio stupore e mi fissa incredulo, non condividendo la mia inadeguatezza. 
Sul canale del Bosforo una spiaggina inizia dal niente, addossata a un muro di grosse pietre che la osserva allargarsi nel suo proseguire che, deviando verso la profondità dei flutti, si mastica un mare sporco e pericoloso, oltraggiato da enormi navi. Delimitazioni di pali e reti, indebolite e strappate dalla ruggine, dividono la lingua di terra in spicchi che s'ingrandiscono, in modo direttamente proporzionale tra loro, e che si allungano con l'allargarsi in fuori, cambiando l'aspetto di quelle aspirazioni che vorrebbero essere spiagge che si appropriano di terra con il loro allontanarsi dalla povertà iniziale di quel primo lembo nudo il quale, nel suo arrancare, si è presto ritrovato l'ostacolo di una sedia scassata di legno, oltre la cinta di rete con la quale confina, e che sta osservando, delusa a sua volta, il tavolino della spiaggia più in là ancora, che si distende a partire dal suo fianco malato, per spegnersi nell'invidia di un altro tavolo ancora, che non è più suo, e che possiede due sedie di fòrmica scheggiata, simili a quelle di un ambulatorio abbandonato, avvitate su tubi di ferro che avrebbero voluto essere cromati, e che discutono tra loro di un futuro improbabile. Per questo sputano veleno, tutti coesi, sull'altro pezzo di spiaggia ancora più largo il quale, coraggioso, osa addentrarsi più in profondità nei flutti coi quali litiga senza sperare in una vittoria, combattendo solo per pavoneggiarsi nel vanto di avere uno sgabbiotto di legno marcio da difendere e un ombrellone, rivoltato da un vento che gli gioca insieme, impietoso. 
Ma nemmeno questa spiaggia è felice, perché è costretta a piegarsi all'ultimo e decoroso pezzo di terra, quasi dignitoso, il più largo e meno brutto di tutti, con addirittura due panchine impiantate davanti a una casetta miniaturizzata, in masonite marrone, fermata da cumuli protettivi di sabbia sassosa, scura e incatramata, che la incolla a pietre infernali e laviche, ed è difesa da cubi di cemento frangiflutti, irti di tondini contorti di ferro arrugginito che paiono artigli, pronti a difendere dai mostri galleggianti che urlano fumo davanti al loro coraggio. 
Ignorando questa lotta epica un uomo imponente si tuffa, insaccato in una muta composta di pezzi di camera d'aria di camion, vulcanizzati tra loro, a cacciare improbabili pesci impugnando un fucilino a elastici del color della nicotina, senza un segnale, galleggiante e sfrontato, per allertare i natanti che la preda umana da tranciare nelle loro eliche è lì, ossequiosa davanti alla volontà omicida di chi è sicuro che le speranze di sopravvivenza stiano esclusivamente nella commistione di forza bruta e crudeltà sprezzante.
Più su, in un parcheggio di camion dai colori sbiaditi dal tanto correre, un parrucchiere da strada agita le monetine contenute nella larga tasca frontale del suo verde grembiule, per richiamare l'attenzione di un mondo spettinato, e approfitta dei grossi specchi retrovisori di mastodontici mezzi addormentati, salendo veloce sulle loro predelline per specchiarsi e ammirare il pettine che si passa, con voluttà, tra i capelli intrisi di brillantina allontanando così, a ogni passata, un nugolo di mosche appollaiatosi sopra che svolazza via per ritornare, subito dopo, a incollarsi impavido sulla luccicante superficie compatta.

Sul retro di quel palcoscenico mondano un uomo mostra a un altro uomo come è facile andare in bicicletta, e per un poco pedala gagliardo facendo evoluzioni, e un mazzetto di lire turche cambia di mano contemporaneamente alla bicicletta sulla quale l'altro, l'apprendista, sbanda paurosamente, rassegnato e con un piede per terra, per tornare a riprendersi deluso i suoi soldi, riconsegnando all'altro la sua bici sulla quale il proprietario risale un'ennesima volta ancora, ricominciando a pedalare dietro a uno smagliante ed estasiato sorriso. E lo scambio prosegue più e più volte, perché è così che si impara a pedalare in Turchia, quando non si possiede una bicicletta, allo stesso modo nel quale si vive quando non si è padroni della propria vita.

venerdì 24 giugno 2016

Realtà ancora più reali

Eccheccazzo! Sono stato sbattuto su questo pianeta senza che nessuno mi abbia chiesto cosa ne pensassi. Okkey, è bellissimo qui, ma non dappertutto. Sono stato piazzato a Quarto Oggiaro, la Scampia del nord, dove gli ammazzamenti lottano con le nuove nascite per ridefinire un primato che anche a Scampia ci invidiano.
Ma non è finità lì: la famiglia che mi ha generato trasmettendomi più difetti che pregi era composta da stronzi con l'aggravante che più invecchiano e meno li si può toccare.
In aggiunta mi è stato rifilato un carattere che diventa combattivo solo quando è certo della propria sconfitta.
In questo maleodorante scenario si capirà facile che io non mi senta in colpa di essermi avventato sulle droghe allucinogene, senza paura di poter precipitare in una angoscia paranoica dato che quella era la musica di sottofondo dello spettacolo dato dalla mia esistenza.
Come ho accennato sopra io divento coraggioso e temerario solo quando la sconfitta non ha alternative possibili, e questo mi ha concesso di affrontare incubi, che avrebbero riempito i calzoni di chiunque, senza dovermi preoccupare dell'odore che quel riempimento emanava.
Ho avuto una vita a dir poco avventurosa proprio in virtù del mio elevato grado di sopportazione verso le disgrazie, che si sono succedute come spettatori in fila davanti all'entrata di un cinematografo di periferia che proietta un solo film decente ogni dieci anni, ma non mi lamento perché i ricordi mi impediscono di annoiarmi.
Oggi, che vivo isolato coltivando gli orti che i barbari autoctoni mi danneggiano per divertirsi, sono finalmente quasi tranquillo e capace di ammirare il panorama senza chiedermi chi si nasconda dietro. Parlo con gli insetti, che solo apparentemente non trovano interessanti le mie dissertazioni sulla migliore posizione da tenere per succhiar via il polline dai miei fiori, e rispondo ai richiami degli uccelli anche quando non sono rivolti alla mia persona.

Si può dire che io sia felice, ed è un vero peccato che non sia la felicità il fine della mia esistenza, altrimenti l'avrei già raggiunto, anche se una realtà che sia possibile raggiungere apre la porta ad altre realtà che non ci si immagina possano essere ancora più reali.

mercoledì 15 giugno 2016

Maledetti cookie

Maledetti cookie, che danno informazioni su di me andando a frugare nel cassetto ove tengo le mutande sporche, in attesa che si liberi posto nella lavatrice.
Maledetti loro e le calunnie a cui credono...
Il risultato è che facebook mi impesta la pagina, quella che io imposto sui problemi dati dalla mia inclinazione alla spiritualità, di pubblicità di protesi dentarie, erbe contro l'ingrossamento prostatico, impasti contro la calvizie e suggerimenti per pagare le tasse in modo agevolato.

Maledetti cookie che, ormai l'ho capito, telefonano alla mia ex portinaia, che mi detestava, per raccogliere informazioni su di me, dato che con Google Map non riescono a individuarmi nelle parti basse...

Quando l'essere piccini non è più importante

Chi esiste dà per scontata la propria esistenza perché la vive, e l'unico modo per contraddirla sarebbe quello di porle termine.
Ovviamente è facile capire, solo guardando il cielo stellato, di essere immersi in un mistero di non agevole soluzione, eppure questa consapevolezza non impedisce di annoiarsi e, anzi, ci fa sentire tanto piccini di fronte all'immensità dell'universo da convincerci di essere poca cosa, nell'economia universale.
Poca cosa sul piano della realtà quantitativa, ma non su quello della qualità, perché l'intelligenza umana è capace di concepire la trascendenza che supera i limiti impliciti all'esistere.
Non la si concepisce solamente, ma la si può raggiungere attraverso la maturazione delle possibilità implicite all'essere umani.
In ogni parte del tutto c'è il tutto, e il grande segue le stesse leggi che governano il piccolo perché il grande è composto dai piccoli.
La stessa noia ci dà la misura della necessità di perfezione, una perfezione che ci condurrà al centro del nostro stato dell'essere, che è attraversato dalla verticale che congiunge agli stati sovra individuali che elevano l'essere avvicinandolo alla Causa delle cause, al Mistero assoluto che acceca la mente solo al pensarlo.

Il legame che ci unisce al Mistero dà la possibilità di concepire e conoscere le ragioni dell'esistenza, che non stanno nel raggiungimento della soddisfazione emotiva chiamata felicità, ma nella conoscenza priva del dubbio attraverso la quale l'essere piccini cessa di essere importante.

lunedì 13 giugno 2016

Amare e odiare la vita


Il fatto di non poter scegliere di nascere induce ad amare la vita ma, per inversione analogica... il poter scegliere il momento della propria morte spinge al desiderio di morte.

domenica 12 giugno 2016

Sul popolo dei cinque stelle

Era prevedibile che le forze avverse avrebbero tentato di vanificare gli sforzi che la mia generazione, quella sessantottina, ha messo in atto contro il male della violenza di Stato e dei suoi servi fascisti e stragisti.
Prevedibile e inevitabile.
Eppure... eppure sono ancora vivi e pulsanti i valori di pace che la mia generazione ha forzato nella violenza di una ribellione stanca di subire.
Le persone, oggi, non sono tutte incollate davanti alla televisione, a bersi le fregnacce dette da chi in un'ora guadagna più di quanto un operaio incatenato all'avvitare bulloni risparmia in una vita di stenti.
Le carceri sono ancora affollate di poveracci ridotti alla disperazione, che lo Stato associa ai mafiosi che sono sfuggiti al suo controllo: ragazzi rovinati dall'aver fumato marijuana, la stessa erba che, oggi si sa, cura il cancro.
Stato ancora di destra che liberalizza un grammo di cocaina e colpevolizza due spinelli.
Stato che, con le sue leggi fasciste, ha spinto le giovani generazioni all'abuso di sostanze chimiche che uccidono.
Fascisti che oggi si travestono da Hotel cinque stelle dopo aver sterminato l'unica stella, quella di Salomone, cucita sulle tuniche carcerarie dei campi di sterminio nazisti.
Oggi anche la stella del popolo ebraico è diventata fascista e stragista.
Molti della mia generazione si sono venduti al potere dei soldi, cancellando un passato di speranze sono sprofondati nella vergogna che pulsa nei cuori dei violenti, che si sono arricchiti sulle sofferenze degli oppressi e sulle ossa dei bambini che cuciono i loro vestiti in paesi dimenticati e lontani.
Gli stessi paesi che visitarono da ragazzi per allargare la propria coscienza.

Io sono stato tra quelli, ma la mia coscienza si è allargata oggi, allo spettacolo offerto dai traditori della pace travestiti da oppressi, con cuciti addosso il simbolo dei cinque stelle, in mostra sui loro abiti raffinati che hanno il vezzo di cadere verso il basso allo stesso modo di quelli delle persone povere.

sabato 11 giugno 2016

Al momento opportuno...

Come non ci può essere giustizia senza verità non ci può essere verità senza giustizia. Questa è una delle leggi universali che reggono l'intero universo, si tratta solo di attendere che la giustizia si compia al momento opportuno...

Cosa è necessario fare per aprirsi alla possibilità di conoscenza dell'universale

Aprirsi al conoscere non è ancora il conoscere, è solo un aprire la porta a ciò che supera le percezioni sensoriali.
Per prima cosa occorre armarsi di un granello di sabbia, poi lo si poggi a terra e gli si dia un colpetto col dito indice.
In questo modo si notano alcune cose che, quando ben considerate, indicano la strada giusta che è la via del conoscere:

1) Si scopre che occorre una intelligenza che desidera, una intenzione e una forza, prima interiore e di seguito fisica, per cercare e trovare il granello di sabbia, poggiarlo a terra e rifilargli il colpetto col dito.

2) Si vede che c'è una gerarchia che, procedendo dall'intelligenza dell'intenzione attraverso l'emozione data dal desiderio, ordina l'azione, e dire gerarchia significa ammettere una causalità nella quale ogni causa è superiore agli effetti prodotti perché li contiene in potenza.


3) Osservando dove è finito il granello di sabbia si sa che l'intelligenza, il sentimento e la volontà non bastano per comprendere la qualità del destino del granello di sabbia, e che i colpetti dati con l'indice dovranno essere molti per riuscire a riportarlo sulla spiaggia dalla quale esso proviene e alla quale desidera ritornare per tranquillizzare l'oceano.

mercoledì 8 giugno 2016

Conoscenza e felicità


Due muratori in un cantiere: uno felice perché guarda a terra, l'altro infelice e preoccupato perché guardando il cielo si è accorto che una grossa trave sta cadendo sulla testa di entrambi i muratori. L'infelicità del secondo è superiore alla felicità del primo perché gli salverà la vita.

giovedì 2 giugno 2016

Profeti con l'orsacchiotto

In che incredibile universo viviamo, nel quale appena si pensa a una cosa miliardi di costellazioni si organizzano tra loro per smentirti. Pare di essere al tiro a segno truccato di una giostra, quando si esprime un'opinione attorno alla realtà, perché la realtà ti ha messo in mano un fucilino a gittata approssimativa, con la canna storta priva del mirino, e l'orso da colpire comincia a scorrere velocissimo avanti e indietro senza neppure accorgersi che gli stai sparando.

Alla fine del gioco si vince tutti la stessa corona di fiori che stanno appassendo, e i rari tiratori che vincono l'orsacchiotto di peluche sono chiamati "Profeti"...