giovedì 27 marzo 2014

Inciampando

Ottimismo e pessimismo danzano, furibondi, nella mia esistenza, per fortuna incespicando tra loro di continuo, così l'uno dà la colpa all'altro del mio ballare, sgraziato e fuori tempo, la vita.

mercoledì 26 marzo 2014

Ipotizzando, non a caso, sul caso

Ipotizziamo che la realtà relativa sia iniziata dall'esplosione chiamata Big Bang dalla scienza. Prima di andare oltre è necessario soffermarsi su alcune considerazioni, quali sono quelle riferite al porsi la questione del cosa sia potuto esplodere. La scienza dice trattarsi di una sfera estremamente compressa, ma non può dare risposte, e nemmeno fare ipotesi, sulla provenienza di questa sfera materiale. La stessa esplosione necessariamente costituisce la polarità opposta all'implosione, perché la realtà manifestata ha polarità contrapposte che cercano di risolversi, attraverso la loro complementarità, nell'unità generatrice. Fingiamo che sia il caso ad aver costituito questo principio primo generatore: l'esplosione dovrebbe obbedire al caso, nel suo espandersi indefinitamente, ma il caso non è che caotico nel suo disordinato procedere, e questo significherebbe che alcuni elementi della deflagrazione potrebbero avere una direzione che non segue la raggiera tipica delle esplosioni e, dunque, essendo casuale, l'esplosione potrebbe avere in sé parti che non sarebbero costrette a seguire le altre, finendo col cozzare tra loro in un dividersi esponenziale. A questo disordine totale, essendo il caso a governare, non si opporrebbe la possibilità che si stabilisca un ordine diverso da quello caotico, ma in questa confusione è sempre possibile, non essendoci regole né leggi diverse dal caso, è sempre possibile, dicevo, che un ordine del tipo consequenziale che conosciamo, ordine stabilito tra cause e loro effetti, si formi accidentalmente. Da questa formazione, essendo il caso a comandare, si dovrebbe tornare al caos, ma ipotizziamo che non sia stato così, e che quella consequenziale formazione si sia indefinitamente ampliata, obbedendo a se stessa e alle proprie nuove leggi, invece che al caso. Sarebbe possibile, perché il caso, non essendo propriamente una legge, potrebbe sottomettersi a una legge che gli si è mostrata accidentalmente superiore. In questa eventualità il nuovo ordine, subentrato a sostituire il caotico caso, è quello che conosciamo, mentre il caso, al quale sarebbe impossibile assegnare un ordine prestabilito, dovremmo chiamarlo Principio primo, o Dio misterioso come tuttora si fa, con la differenza che si tratterebbe di un Dio che ha abdicato in favore di una scimmia la quale, battendo casualmente sui tasti costruiti coi legnetti di una macchina da scrivere, trovata per un colpo di culo in mezzo al disordine, ha scritto la Divina Commedia (solo la prima strofa, perché le altre sono state scritte dai suoi discendenti i quali, per puro caso, non erano delfini).

Questa mia dissertazione è più intelligente di quella attraverso cui la scienza ha fatto innamorare di sé l'intera, stupida, umanità, che ancora si chiede le ragioni del non aver capito la trama che l'esistenza ha ordito, al puro fine di dover contrariare un'umanità… decisamente più intelligente del caso al quale dovrebbe la vita.

martedì 25 marzo 2014

Il richiamo della libertà

Tanta fatica spesa a erigere muri in pietra per poi ritrovarsi a fissare, perdutamente incantati, il vuoto libero che sta oltre la finestra...

Il materialista

Esistenza è termine che deriva dal latino "Ex-stare", e indica il non avere in sé le proprie essenziali ragioni di essere. Il materialista pensa che esista solo ciò che è misurabile, dunque il pensiero, le emozioni, le illusioni, le allucinazioni, i sogni, la fantasia, l'immaginazione e tutto quello che c'è, ma non è possibile metterlo su una bilancia... semplicemente ancora non esiste... Invece, ognuna delle realtà enumerate esiste, nella propria sfera di realtà. Il materialista pensa anche che, o una realtà esiste e ha un peso proprio, oppure, non esistendo nei modi che il materialista immagina, è sulla strada di combinare dei guai, nella deprecabile eventualità dovesse, un giorno nefasto per la materialità, apparire nel suo aspetto solido... Il materialista è convinto che il proprio cervello sia la propria intelligenza, e che la donna sia stupida a causa dei cinque grammi che mancano, rispetto al cervello maschile, alla sua massa cerebrale. Il materialista attribuisce alla quantità il dominio sulla qualità, e ne va fiero...

Alieni

L'invasione della Terra era cominciata trecento anni prima che l'umanità se ne accorgesse, ma appena se ne accorse quest'ultima corse in fretta ai ripari, imbrattando tutti i muri del pianeta, muraglia cinese compresa, con la scritta: "VIA GLI INTELLIGENTI DALLA NOSTRA GALASSIA!!!"

sabato 22 marzo 2014

La morte muta

La morte era arrivata a piedi, lasciandogli il tempo di rimediare a molte delle ingiustizie commesse, cosa che lui si era ben guardato dal fare perché, prevedendo la sua imminente dipartita da questa valle di lacrime, gli pareva ridicolo occuparsi di inezie che, al peggio, avrebbero aumentato, sì e no, di due o tre gradi il calor vivo delle fiamme che avrebbero arrostito la sua anima, perennemente congelata quando era in vita, dalla stessa deprecazione della quale anche il suo corpo era stato oggetto.
Lui si era dimostrato pronto a ricevere la morte come chi, assediato dalla verità del suo infame aver vissuto, non spera più di cavarsela fuggendo dall'uscita secondaria che attraversa la menzogna.
Finalmente esalato l'ultimo fiato, dopo aver percorso il tunnel che conduceva alla luce, si meravigliò di non essere pervaso dall'effluvio di piacere che, i ritornati in vita dal coma descrivevano, da dietro un sorriso che ora gli sembrava ebete.
Nessun parente defunto c'era ad attenderlo, ma se l'aspettava, dato che mai aveva portato ad alcuno un fiore, con quello che costavano l'unica ragione per andare al cimitero gli era sempre sembrata quella di frugare nei cassonetti interni, alla ricerca dei vasi con piantine vive buttate da coloro che, probabilmente, stavano godendosi delle cospicue eredità.
Comunque lui era tranquillo, non ne aveva mai rubati perché i fiori li odiava, tanto da strapparli dalla siepe del suo vicino tutte le volte che, costeggiandola, sputava all'interno del giardino dove giocavano i bambini.

Superate che furono tutte le stazioni, dove i defunti non pagano biglietto, intravide una densa foschia, piena di ombre indistinte che si muovevano piano, come fossero state in attesa di una chiamata. La sua coscienza, se così si può chiamarla, avvicinò quella che sembrava più vitale per avere informazioni, ma quella gli scivolò lontano, sfuggente come un'anguilla.
Prese a muoversi in sintonia col ritmo che avevano le altre fumose presenze, e attese che la morte gli dicesse che fare. Aveva vissuto nella paura di questo momento e ora si ritrovava lì, come tutti gli altri, senza saper dove andare, come se la morte fosse muta testimone di una follia che non era finita nello stesso buco nero dove la vita sprofonda, trascinandosi appresso solo i dolci ricordi.

Un'ondata improvvisa mosse la nebbia, che si disperse rapida in mille rivoli, come accade alle fogne quando entrano nel mare, e la sua ombra si guardò attorno curiosa, della stessa curiosità che mostravano di avere le altre scure figure. 
Come provenisse da tutti i lati che circondavano il suo essere di sogno, una vibrazione si tramutò presto in una presenza diversa e luminosa, un chiarore che non allungava ombre sovrastò l'angoscia comune, e ognuno seppe che la morte era muta, e mai avrebbe rivelato fiori che le presenze oscure non avevano saputo cogliere in vita.

Un terrore gelido s'insinuò nelle coscienze abbattute dalla verità, intonando sordi colpi dove un tempo avevano pulsato le pietre che simulavano la presenza di cuori, e ognuno seppe che altre forme sarebbero arrivate a rimpiazzare la loro oscurità, che si sarebbe annidata, fondendosi ai ricordi amari, in un simulacro che parodiava la sacralità di un vivere, al quale era stata sottratta la capacità di amare.

L'ombra si rannicchiò scavando nel proprio dolore, sapendo solo che non poteva essere infinito, e che alla fine sarebbe uscita a nuova luce, frignando come un infante che non sa da dove è venuto.

Evoluzionismo


Nell'universo, dove il moto è legge che devia ogni retta facendola curvare, c'è un piccolo pianeta quasi tondo, che ruota seguendo un'ellisse quasi tonda, tracciata attorno a una stella quasi tonda; su quel pianeta uomini dalla testa quasi tonda credono che l'evoluzione sia la retta percorsa da una freccia che non può deviare la sua corsa verso il bersaglio immobile della perfezione, e hanno scambiato il loro essersi adattati al pattume che cresce, quasi tondo, attorno a loro… per il segno lasciato dal loro avere ragione.

lunedì 17 marzo 2014

Il talismano rosso

Sarebbe conveniente definire cosa si debba intendere per superstizione, perché i legami che uniscono tra loro gli accadimenti della vita a volte sono così misteriosi che suscitano paure, le quali ostacolano la fluidità del vivere quotidiano. Per contrastare quelle paure si preferisce adottare accorgimenti superficiali, che nulla condividono con l'intelligenza che dovrebbe indagare le ragioni d'essere di quei legami, rivelati dagli effetti, a volte indesiderabili, che sovrastano la nostra capacità di comprensione. 
Il superstizioso, in definitiva, è colui che si ripara da una frana, aprendo l'ombrello costruito dalla propria pigrizia intellettuale.
C'è, bisogna dirlo, anche una difesa consapevole del valore che possono avere quelle che sembrerebbero essere delle singolari coincidenze quando, in realtà, sono i segni premonitori che anticipano disgrazie imminenti.
Non è facile leggere i messaggi inviati da un Cielo che ripone, nella crudeltà, le sue ultime speranze di riuscire a instradarci sulla giusta via.
Diciamocelo senza tentennamenti: mica sempre la volontà misteriosa, quella che ci ha lasciati liberi di sbagliare, sorride ai nostri errori…
Chi è consapevole di aver sbagliato, o sa riconoscere che non ha sbagliato ancora per diversi e immeritati colpi di culo avuti nella vita, deve aspettarsi dei segnali, inviati dall'ordine nel quale la verità si compiace di sputtanare la menzogna, segnali che avvisano dell'imminente catastrofe capace di rovesciarsi all'improvviso… perché innervosita dal fatto che i segnali non sono stati bene interpretati.
Io non sono superstizioso, non ho talismani anche se, in passato, uno l'ho avuto. 
La bellissima ragazzina che oggi è mia moglie restò colpita, quasi catturata, da quel talismano. 
Ero appena tornato dall'India, dove ero stato in giro un anno senza soldi, andato e tornato (fortunosamente) via terra in camion-stop, e stavo magnificando l'aiuto ricevuto dal mio magico e potente porta fortuna. 
Mi chiese di farglielo vedere, e io le mostrai l'aeroplanino rosso, di plastica vuota sotto, che aveva un'ala spezzata riattaccata da me con del nastro adesivo appiccicato di traverso. Lei, che si attendeva un monile d'argento e oro tempestato di pietre preziose, a quella inaspettata vista si innamorò della mia follia (a quel tempo non ero molto diverso da oggi) e agli inizi di novembre il nostro amore, ingraziato da quel talismano, compirà quaranta anni di età.

L'aeroplanino lo persi in fretta, perché ero sempre stravolto dall'ottimo hascisc che mi ero portato, nascosto in posti che senza il talismano avrebbero scoperto subito, ma devo dire che da allora la mia fortuna non è mai diminuita, quindi sospetto di non averlo proprio perso; sarà imboscato da qualche parte e me lo porto dietro perché io non butto via niente…

domenica 16 marzo 2014

Le difficoltà date dal vivere

Vivere è difficile per tutti, intelligenti e stupidi, poveri e ricchi, perché la verità nulla lascia di intentato per dimostrare di essere vera appena la si snatura attraverso le parole o le azioni. Più si conosce della verità e maggiori diventano i problemi dati dallo starle vicini, meno si conosce della verità e più grandi saranno i dubbi che consideriamo essere i nostri invincibili padroni.

sabato 15 marzo 2014

Spirali

La spirale del tempo ruota lentamente, nel suo ciclico iniziare a consumare lo spazio. Proseguendo nella sua corsa, l'accelerazione col tempo aumenta, e con esso quella degli esseri che rincorrono l'istante che appare immobile, nel suo sorridere alla loro follia. Un volto del tempo è costante, nel suo essere lo stesso istante senza durata seduto davanti al nostro affannoso ruggire, mentre dietro a quel volto è nascosta la qualità della durata, che varia in dipendenza dell'attenzione che sappiamo rivolgerle. 
Alcuni momenti rifiutano di andarsene, tornando a chiamarci con la stessa pazienza delle cose senza tempo, altri istanti fuggono lontano, spaventati dal nostro essere distratti.
Intanto il tempo consuma altro tempo, nel tentativo di divorare spazi che hanno orizzonti troppo lontani per essere raggiunti, nel suo continuo desiderio di correre il tempo riduce se stesso a un unico e ultimo istante, dove la morte non ha più vite da spegnere e deve morire. Quell'ultimo istante è al di sopra della ruota che gira, al di là della spirale, immobile regna dove il movimento cambia di polarità per riprendere, senza soluzione di continuità, a scorrere in nuovi cicli, in nuove esistenze, in nuove morti, in nuove nascite. La morte è l'ultima a morire e la seconda a dover nascere dopo la vita che appare insieme al tempo, nella spirale percorsa dagli esseri, come dalle galassie.

Genitori frustrati

L'essere genitori nasconde un grave pericolo, dato dal rifugiarsi nei propri figli, pretendendo da loro ciò che non si è stati capaci di portare a termine nella propria esistenza. Non è facile accorgersi che, così facendo, si tenta di privarli dello stesso coraggio che non si è riusciti ad avere, quando sarebbe stato importante avercelo.

L'era della velocità

La nostra è l'era della velocità, nella quale tutto scorre davanti all'ansia, generata dalla perdita della capacità di soffermarsi a scrutarne i dettagli, quelli che conservano le tracce del senso seguito da tutte le cose che accadono attorno a noi. Poi ci lamentiamo che la realtà è oscura quanto il nostro soffrirla, e che il sacro si è dissolto, lasciando libero l'altare che è stato occupato da un tostapane cromato che brucia, velocemente e senza pietà, le nostre speranze di pace.

venerdì 14 marzo 2014

Genesi

All'inizio fu il Verbo, poi seguito dal predicato che a propria volta divenne oggetto di successive maledizioni, a causa della sua discutibile inclinazione al razzolare male...


L'illusione del credere comune


Il credere comune



L'ordine gerarchico naturale

Quando la conoscenza è nozionistica e sincretica l'esperienza la può confutare a ragione, ma la vera conoscenza è la consapevolezza dei princìpi che sono norma universale dell'esistenza, e se l'esperienza nega, non riconoscendo il valore, che è senso, della loro aderenza al vero e della qualità dei loro effetti, significa che quell'esperienza è stata male interpretata in ragione di aspettative insensate che ne hanno deviato l'orientamento. Quante sono le persone che sono consapevoli in modo assoluto, dunque privo del dubbio, dei princìpi universali che sono assi fissi della rotazione universale? Talmente rari che l'umanità ne tiene conto solo per negare la loro assoluta certezza. La consapevolezza dei princìpi è analoga a quella dei princìpi del calcolo ma, diversamente da quest'ultima che è specificamente quantitativa, è riferita alla totalità, sia quantitativa che qualitativa, data dall'interazione di esistenza e di Non esistenza. La figura sopra assegna la priorità all'esperienza nei confronti della conoscenza, ma senza conoscenza la qualità dell'agire si abbassa al livello in cui si trova la vana agitazione - nel migliore dei casi - o nel genocidio razziale, nel peggiore. Senza princìpi condivisibili da tutti, in ragione della loro universalità che è priva di caratteristiche morali, tipiche dell'intrusione del sentimentalismo originato dalla latitudine culturale, senza questi princìpi, dicevo, quale direzione qualitativa potrebbe avere l'azione? Il legame della seconda figura non è in grado di determinare la gerarchia qualitativa in cui si trovano a essere, nei loro rapporti, le varie e diverse realtà che si incontrano vivendo. Gerarchia di valori che solo la conoscenza è capace di riconoscere. Infine faccio notare che le figure sopra sono la schematizzazione del peggiore materialismo che sta portando l'umanità alla rovina. La conoscenza, in realtà, non è soggetta all'obbligo della ripetizione sperimentale e agli schematismi che quest'ultima giustifica, nel suo sostituire un tostapane cromato alla sacralità del sacrificio di sé. Sempre l'esperienza assume il significato in relazione alla qualità della conoscenza a disposizione di chi sperimenta.

giovedì 13 marzo 2014

La rigidità della pazienza

L'esistenza non guarda in faccia nessuno, e procede imperterrita nel suo vorticare, nonostante tutti le sparlino dietro. Alla fine avrà ragione su tutti i pettegolezzi che l'uomo fa per screditare i suoi valori, usando la morte per tacere ogni controversia. Morte che non è la fine dell'esistenza, ma solo quella del vano chiacchiericcio. Solo l'assoluta Perfezione che è assoluta Libertà, sfugge al dover morire, ed è proprio ciò che l'uomo deve darsi come obiettivo.

mercoledì 12 marzo 2014

La teoria della reincarnazione

La teoria della reincarnazione, vista come ripetizione di vita nello stesso stato dell'essere, per quanto ci riguarda è quello umano, cozza contro la legge universale che impone la differenziazione di tutto ciò che esiste, compresi gli stati nei quali gli esseri sperimentano la vita.
Secondo questa teoria meglio ci si comporta in vita e più belli e intelligenti si rinascerà nella vita umana successiva. Più belli e più intelligenti significa anche suscitare più invidia e gelosia negli altri, che ti renderanno la vita difficile, ma se tu riuscirai a comportarti bene senza vendicarti... rinascerai ancora più bello e intelligente, suscitando ancora più invidia e gelosia. Più una situazione è difficile da superare più diverrai bello e intelligente se ce la farai a superarla, ma alla fine, quando sarai quasi arrivato al duro traguardo della Perfezione, ecco che la troppa invidia e gelosia ti faranno perdere la pazienza, e tu ti vendicherai orribilmente. Così rinascerai bruttino e stupido, ma cazzo... tutti ti vorranno un bene dell'anima... 

Il buonumore

Il buonumore è quello stato d'animo che inonda il cuore quando si capisce che gli altri stanno peggio...

lunedì 10 marzo 2014

La verità non può essere un'invenzione


Non mi sono chiare le ragioni che inducono innumerevoli scrittori ad assegnare tanta importanza allo scrivere. In fondo si tratta di mettere, nero su bianco, alcuni rivoli del grande fiume di pensieri che inonda la mente, il più delle volte incapace di nuotare. Il pensiero, contrariamente a quanto è convinzione comune, è il mezzo attraverso il quale dare forma alle proprie intuizioni. Il fatto che il pensiero stesso non sappia da dove vengano queste ispirazioni, che lo invogliano a scavare incessantemente alla ricerca della pepita d'oro, la stessa che l'orefice assicurerà essere della volgare pirite, il non conoscere la fonte delle proprie ispirazioni, dicevo, impedisce alla mente di congratularsi con se stessa, a causa dell'incapacità di potersi assicurare la paternità delle creazioni così ottenute. Occorrerebbe dire, anzi, che tanto più i pensieri dalla mente formulati saranno delle creazioni personali, e tanto meno saranno da considerare sovrapponibili alla verità, perché la verità precede ogni altra realtà che alla verità deve appoggiarsi per essere, e questo significa che la verità non può essere inventata di nuovo, ma la si potrà solamente esprimere con parole diverse senza che il loro significato cambi.

Prendetevela con la vita, se proprio dovete...


L'ordine naturale nel quale stanno ordinate gerarchicamente tutte le cose esistenti scrive, descrivendo le proprie ragioni d'essere attraverso le forme e gli accadimenti della vita. Non è una scrittura chiaramente comprensibile, e ha in sé la magia di essere traducibile in modi diversi, tanto quanto sono diversi gli esseri che vivono all'interno della realtà manifestata. Per questo non vedo una valida ragione per essere incolpato di non essere chiaro in ciò che espongo. Prendetevela con la vita, prima di accusare me... 

domenica 9 marzo 2014

Io amo gli insetti

Io amo gli insetti, nella colmegna di ciliegio che regge il tetto a vista di casa ci sono delle fenditure longitudinali, che da anni una specie di lunghe vespe nere usa per deporre le larve all'interno di bozzoli costruiti con argilla e saliva. Nascono così, proprio in questo mese, decine di vespe, ancora contenute entro i due centimetri di lunghezza, le quali, essendo nate in casa in compagnia delle nostre voci e presenze, non temono di avvisarci quando vogliono uscire dalle grosse finestre che, di questa stagione, ancora teniamo chiuse. Io allungo il dito davanti al loro musetto, così da farle arrampicare sopra. Le vespe non esitano a salirci per prendere il volo, subito dopo scostata una delle finestre, per farle uscire al sole. Non mi hanno mai punto, perché mi considerano una sorta di papà, ma già dispongono di un lungo aculeo e potrebbero farlo, se solo volessero. Ne ho anche che si annidano sotto alle tegole del tetto della legnaia; diversamente da quelle in casa sono vespe comuni, dalla caratteristica personalità irascibile, ma anche loro si accontentano di svolazzarmi attorno, dandomi delicati tocchi sulla testa se devono avvertirmi di non importunarle e, nonostante siano in gran numero, non sono mai stato punto. Quando ne trovo qualcuna, irrigidita dal freddo primaverile, la faccio salire sul dito e la deposito su una tegola scaldata dal sole. Le vespe, che normalmente pungerebbero qualsiasi intruso, sanno che mi sto occupando di loro, e si lasciano trasportare in serenità d'animo.
Una volta portai un ragnetto, che aveva intessuto la tela sotto al faro dell'enduro, dalla Grecia fino in Italia, ma questa è un'altra storia...

sabato 8 marzo 2014

Auguri, donne di tutto il mondo, ma usateli con moderazione...

Quando un uomo fa gli auguri alle donne è messo nella stessa condizione di un aguzzino che augura, alla vittima che sta torturando, di resistere coraggiosamente, rimanendo in vita il più a lungo possibile. Meglio sarebbe far le condoglianze alle donne, considerato anche che, di solito, campano più a lungo degli uomini, e c'è il caso che sia dovuto proprio agli auguri che facciamo loro... :D

venerdì 7 marzo 2014

Lo strano sogno di Vidharr

L'universo si sa, è uno, a immagine del Centro che l'ha generato, e tutto comprende non potendo escludere che l'impossibile a realizzarsi in nessuno dei suoi indefiniti piani di realtà, quello dei sogni compreso.
— Lì si realizzano le cose più strambe— 
pensò Vidharr, guardandosi attorno stralunato, nell'impossibilità di cogliere il senso di quello che vedeva. I nani, escluse rare eccezioni, non dormono molto e si danno un gran daffare a costruire castelli e strade in dura pietra, scavare miniere dove estrarre metalli e pietre magiche e corteggiare nane pericolose, con le quali tentare invano di esporsi in vanterie che le nane mortificano senza alcuna pietà, maneggiando una cruda superiorità intellettuale che è l'unica arma che un nano ha problemi a schivare.
 Questa loro natura non li spinge, di solito, a dare eccessiva importanza al corpo dei sogni evanescenti che insidiano la loro connaturata solidità.
 Per la stessa ragione i nani poco apprezzano tutto quello che mette in precario equilibrio convinzioni e conoscenze, le quali si allungano misteriosamente nel loro epico passato, allo stesso modo in cui l'intreccio di grotte, scavate dagli antenati, si perde sprofondando verso il centro del pianeta, infuocato come la fucina che arde nei loro cuori.
 Ma questa volta era uno strano sognare, quello che accompagnava le solide convinzioni di Vidharr verso il pericolo di sgretolarsi, e i responsabili dovevano essere stati i funghi raccolti nella grotta del labirinto oscuro.
 Gli tornavano alla mente antichi ricordi di frasi sussurrate alle sue orecchie appuntite dalla nonna, che gli ordinava di calpestare quei frutti del diavolo e di non guardarli neppure.
 Lui, entrato nella grotta del labirinto oscuro inseguendo un coniglio selvatico, si era perso e aveva vagato per un tempo interminabile tra quei cunicoli, ciechi come la sua anima che aveva dovuto azzittire per riempirsi lo stomaco. Già, lo stomaco. La sua nonnina gli aveva insegnato a diffidare anche di quello, assicurandogli che era l'antro del demonio e che aveva due uscite: una davanti e l'altra dietro, ma tutte e due conducevano all'inferno.
 Come non darle ragione ora che nei suoi occhi quelle fiamme roteavano insopportabili, pulsandogli nel petto come a volergli urlare che il mondo stava lì, davanti alla sua intelligenza, ma non era come lui l'avrebbe voluto, era molto più bello.
 Aveva dovuto mangiarli quei maledetti funghi, per non morire di fame, e non era più sicuro che ne fosse valsa la pena. Adesso che il mondo parlava non attraverso la solita voce che lo aveva tormentato fino a quel giorno, ma per immagini nude, veloci e crudeli come sa essere la verità quando esplode. Di fronte al terremoto di emozioni che gli faceva tremare quel suo cuore di nano, generoso e temerario, che segnava il centro del suo esserci, lui era immobile perché non c'erano frecce da schivare né lance da spezzare. C'era solo un nano e la sua dignità, offesa dal nuovo scorrere degli eventi che l'avevano ricondotto fuori da quel buio, ricomponendo il labirinto della caverna nell'altro labirinto, quello interiore e che, stando fuori dalle sue previsioni, aveva una sola uscita che sfociava nel destare il suo spirito.
 Il bosco era più gigantesco di quando l'aveva lasciato per entrare nel labirinto oscuro, e vivo come non lo aveva mai visto prima.
I rami si muovevano sinuosi e sembravano salutare la sua diversa coscienza che, confusa da tanta bellezza, gioiva come se avesse avuto le ali.
 I piedi si muovevano leggeri tra i rami secchi, e le foglie erano percorse da tutte le sfumature che il giallo conosce. Non un inciampo sul sentiero non tracciato dagli uomini, ma solo da un Mistero che si divertiva a nascondersi, mostrando i propri fantasmi in una vorticosa danza di immagini che inebriavano di vertigine.
Il suo turbinio di pensieri aveva la forma delle nuvole che si rincorrono nel vento, assumendo forme che non si possono fissare, senza meravigliarsi della sfrenata fantasia di un cielo che non era mai stato vuoto.
 Arrivò al villaggio a sera inoltrata, stanco e con gli occhi cerchiati da cornici nelle quali ancora correva l'energia dello stupore.
I bimbi gli corsero incontro in cerca di bacche dolci, ma si fermarono quando sentirono il tremore nelle sue mani e lo videro stanco e sfatto, come un letto dove si è trascorsa la notte a piangere.
La notizia del suo arrivo, dopo una settimana di assenza, si diffuse veloce quasi quanto la contentezza di saperlo vivo, e Ghedra non ebbe nemmeno la forza di corrergli incontro perché quella forza doveva servirle per frenare le lacrime.

— Fannullone di un marito incosciente!— Vidharr sentì tuonare nella testa, e pensò che mai Ghedra si era così avvicinata alla sua realtà interiore.
 L'effetto dei funghi era ancora nel pieno dello sfavillio di meraviglia e Vidharr sapeva che il suo nuovo vedere gli avrebbe rivelato un lato del suo villaggio che non avrebbe mai voluto conoscere.
 Entrò nella sua casa e gli sembrò troppo piccola per un cuore che era stato una cosa sola con la foresta e il cielo, nella consapevolezza di avere un unico Padre, più piccolo anche di un nano, ma più grande dell'universo intero.

Vidharr aveva un corpo temprato meglio di una spada, e sodo come quello di un sasso quando è privo di venature, ma il suo animo era gentile come una mammola appena uscita dalla terra per guardare la primavera, e l'effetto dei funghi lo stava scombussolando più dell'accarezzare una piccola pietra magica.
 Incapace di stare fermo, in quella sua casa che teneva fuori il mondo, decise di uscire e di sedersi sulla pietra tonda che stava al confine esterno del villaggio. Da lì avrebbe potuto guardare, senza essere disturbato, la fantasia del Padre che pennellava la realtà senza tralasciare un solo colore. I tetti di paglia che punteggiavano il villaggio, come i bottoni bianchi decorano un'amanita muscaria, sembravano prendere per i capelli le pareti che li sostenevano, e tutto aveva l'aspetto di stare a gambe all'aria. Nulla scombussola un nano più del ribaltamento delle proprie convinzioni. A pensarci bene era così anche per i gambalunga che, come accadeva per i nani, erano capaci di urtare l'evidenza, spintonandola, pur di appropriarsi della ragione.
 L'aria che ondeggiava divertita attorno ai suoi occhi lo convinse che le allucinazioni hanno un proprio spessore, che assomiglia a quello dei sogni, e che ti può far ridere nel sonno, oppure urlare di terrore.
 Ben presto, a cominciare dai bambini, una moltitudine di nani e nane gli si raccolse vicino, accovacciandosi attorno silenziosa, nell’aspettativa di una rivelazione che uscisse da quegli occhi i quali, diventati più neri e luminosi, mostravano di poter scavare una più profonda galleria dentro ai segreti che custodivano quella che era, per tutti, una realtà che mostrava la propria amorevolezza raramente, e solo alla chiusura del sipario.
 Vidharr, che avrebbe desiderato stare solo e che provava vergogna in quel sentirsi nudo davanti a un mondo che lo incitava, prese a guardarli uno per uno, alla luce delle vampate di fiamma fredda che illuminava quei volti tondi, nei quali erano incastonati occhi che volevano sapere cosa può nascere al di fuori del consueto.
 Lui li percepiva come fossero tutti suoi figli, nati da Ghedra, la sua amata moglie, tosta, necessaria e fluida come è la pietra quando affila le lame.
 Non osava pensare cosa lui avrebbe potuto essere senza di lei la quale, in disparte per non forzarlo troppo, quella sera pareva essere dentro al suo cuore, e forse da lì non sarebbe mai uscita.

 
Allo stesso modo dell'esistenza, che nasce senza chiedere permessi solo perché può, la voce di Vidharr prese a modulare un flebile canto che usciva da quello che pareva essere uno zufolo nella sua gola:


Dolce è la bruma che circonda la sera come fosse profumo di una cosa non vera
Piano si espande come un pianto sommesso rivelando paure che le stanno nel mezzo
Come da storia antica si dimentica presto e ci si riaddormenta attorcigliati al canestro
delle cose volute da incantesimi strani con i cuori induriti come fossero mani
che si allungano a prendere una bruma che sfugge come il cuore di nano che per questo si strugge
    
Le note della nenia, uscita dallo sguardo col quale Vidharr abbracciava il piccolo popolo dei boschi, si dispersero languide senza incontrare resistenze, e molti furono i cuori che le seguirono, almeno tanti quanti erano i luccichii di commozione che riflettevano lo scoppiettare delle fiamme, alzatesi a sfidare il vento che le portava via con sé.
Vidharr non sembrava più lui, e Ghedra fu sorpresa che il suo nano potesse lasciarsi andare ai moti dell’anima, come avrebbe potuto fare solo indietreggiando nel tempo. Ma Ghedra non aveva dubbi che uno come Vidharr, piuttosto di tornare sui suoi passi avrebbe scelto il bivio più pericoloso, e infatti così lui fece.
Si alzò dal sasso battendosi i vestiti, alzando un polverone che fece tossire di risa i nani a lui più vicini; riassettò il fuoco maneggiando i tizzoni rossi con le sue corte dita, che non temevano neppure l’inferno. Poi si sedette a gambe allungate, ché i nani non riescono a incrociarle, e subito Ghedra gli si accovacciò dietro la schiena, per sentirne di nuovo il calore e aiutarlo a star comodo.
— Raccontaci cosa è accaduto nella caverna dell’oscuro labirinto, che ti ha spalancato le pupille da farle sembrare onice raro—
L’onice, per i nani come per i gambalunga, era una pietra dura e nera, e ricordava il cielo senza sole delle grotte scure, simboleggiando il faticoso cammino che un essere percorre dentro di sé.
Vidharr parve solcare con la memoria luoghi lontani, e la sua voce si mosse improvvisa, insieme al brillio col quale il Mistero si nascondeva nei suoi occhi
— Avrei dovuto capire subito che quel coniglio non era quello che sembrava essere— iniziò guardingo
— Correva troppo piano, come se volesse farsi prendere— continuò
— Mi stava a un palmo di distanza e non riuscivo ad afferrargli la coda — Quando mi tuffai, sicuro di prenderlo, mi ritrovai al buio e capii che quello era il destino di chi, interessato solo a cacciare, non si accorge di essere anche una preda—
Dalla platea un diffuso mormorio di ansia seguì quelle parole, dimostrando, se ce ne fosse stato bisogno, che ai nani non piace essere scoperti.
— Ma il coniglio era ancora lì, fermo davanti a me, e mi fissava come a voler sostituire con gli occhi una smorfia di scherno
— Mi lanciai di nuovo e ancora per innumerevoli volte, fino a quando non fu più possibile tornare sui miei tuffi—
— Ohhh!— dissero i bimbi, con l’aria di chi non avrebbe mai più assaggiato una coscia di coniglio.
— Vagai per giorni, maledicendo la mia testa dura, e pian piano mi accorsi di girare in circolo—
— Come in circolo?— chiese un nano anziano, da sotto una lunghissima barba bianca che lo faceva sembrare un Babbo Natale in miniatura, ed era questa la ragione che aveva fatto dimenticare a tutti il suo vero nome
— La caverna dell’oscuro labirinto è circolare?— insistette il piccolo babbo natale
— No— rispose Vidharr
— Ma la magia fa apparire le cose come non sono, oppure come sono veramente e non ce ne siamo mai accorti—
Un brusio di approvazione legò tra loro stati d’animo che ascoltavano sulla punta di piedi troppo grandi, se confrontati al corpo che dovevano portare in giro.
— Quel girovagare per il labirinto somigliava sempre più al non saper dare risposte alla vita, quando lei ti mostra che l’hai sempre osservata dal lato sbagliato—
Un silenzio gelido scese improvviso, perché nessuno lì in mezzo, nemmeno i bimbi, aveva mai pensato di potersi sbagliare
— Noi nani, che grattiamo la schiena al mondo e piantiamo gli alberi che ci proteggeranno domani, non ci chiediamo mai il perché del mondo, noi diamo per scontato che tutto quello che ci circonda è lì, per avere noi in mezzo—
Una voce vicina, proveniente dalla schiena di Vidharr, tentò di correggerlo
— Perché, dove saremmo noi, se non nel mezzo di ciò che ci accade?—
— Mio adorato intrico di peli e muscoli— replicò lui
— Certo che siamo nel mezzo, ma non più di quanto ogni cosa è nel mezzo di tutte le altre cose—
Ghedra si trattenne dal mollargli una gomitata nelle reni e non insistette oltre, l’avrebbe stangato più tardi, a casa, ché non le andava che i bambini la potessero vedere
— Dopo, non so dire quanto, cominciai a sperare d’incontrare anche un pericoloso cinghiale, pur di mettere sotto ai denti qualcosa di peloso e diverso da Ghedra— disse, guardandola di sottecchi con la coda dell’occhio, autorizzandola così a suonargliene di santa ragione, una volta che fossero ritornati alla loro casetta
— Ma trovai solo dei piccoli funghi magici…—
I nani, nessuno escluso, potevano mangiare quei funghi solo quando volevano parlare di persona al Padre Celeste, e poiché la storia del piccolo popolo racconta che col Padre Celeste si parla solo da morti, nessuno li voleva assaggiare
— Ho dovuto farlo, il coniglio prima e il labirinto poi mi ci hanno costretto—
Nessuno gli credette, perché sapevano tutti che Vidharr era un ingordo imbroglione, certamente anche buono, ma si sarebbe mangiato persino le sue unghie se non le avesse avute così corte e nere
— Dopo un’oretta il drago dormiente si prese cura del mio spirito e lo svegliò con un calcio nel sedere—
Ghedra si sentì improvvisamente in sintonia con quel drago anche se, non avendone mai visto uno, non credeva alla loro esistenza, raccontata dalle leggende del popolo dei vecchi nani, sempre ubriachi di frottole
Il folto gruppo che lo attorniava curioso parve sollevarsi dall’erba, e l’erba sembrò anch’essa in un’aspettativa ansiosa
— Terribili vampate mi allargarono gli occhi e vidi nel buio, sia quello che incupiva il labirinto magico che quello che sigillava con un opercolo il mio occhio interno—
Nessuno aveva mai parlato di un occhio interno nei nani, e tutti parvero sul punto di dover sbattere una palpebra che non sapevano dove andare ad aprire
— Sì, nemmeno io avevo mai immaginato di avercelo, eppure i funghi ti fanno guardare il buio illuminando dall’interno il cuore, e i pensieri che vengono fuori da lì diventano, di colpo, più chiari e diversi, capaci persino di considerare il mondo partendo dal suo centro, e non come facciamo noi nani, pesandolo dal di fuori—
Commenti sommessi si accavallarono tra loro come una marea di disapprovazione, e gli sguardi si nascosero dietro sottili fessure, come quelli che caratterizzano i preti dei gambalunga
— Bambini a nanna!— dissero, alzandosi in coro, voci femminili e preoccupate
— Che domani si deve andare nel bosco interno a raccogliere le bacche dolci—
Così, accompagnati in fretta da una nana anziana alle loro capanne, la foresta di pensieri ancora giovani non avrebbe chiuso occhio, cercando di sbirciare tra le canne del muro che li avrebbe divisi dalle parole di Vidharr, il “quasi mago” del labirinto oscuro

— Ma che significa guardare il mondo dall’interno?— chiese una voce che esauriva il pensiero di tutti
— Vuol dire che lo sguardo sul mondo osserva prima le ragioni e dopo gli effetti che provengono da quelle ragioni—
A tutti sembrò un’ovvietà, perché nessuno di loro si sarebbe mai sporto a chiedersi dell’uovo e della gallina, il piccolo popolo le uova e le galline se le mangia, mica ci si fanno sopra i discorsoni
— Così tu, Vidharr, nel labirinto magico hai saputo se viene prima l’uovo o la gallina?—
I nani erano poco inclini ai sofismi impegnativi, in compenso però, sapevano andare al sodo, anche quando non si trattava di uova cotte
— C’è stato un tempo— riprese Vidharr
— Nel quale il tempo non scorreva, ed era come se fosse stato immobile sopra al vortice degli eventi che si preparavano per stringere le pietre nella morsa degli accadimenti futuri—
Non un respiro si fece udire, in quella marea di teste pronte a ridere a crepapelle dietro le balle che sarebbero uscite dalla bocca di Vidharr, che adesso tutti avrebbero volentieri chiamato: “il guerriero rintronato”
— In quel “non tempo” c’erano i semi del mondo, e anche le uova che sarebbero state galline, e oche e uomini e, infine, persino i nani—
Da ancora più in basso di dove stava la ressa un chicchiricchìcchì tentò di avvisare dell’arrivo dell’alba, ma fu interrotto subito, e poco gentilmente, da un calcione che sollevò una manciata di piume che caddero velocemente a terra, svenute come fossero state di piombo
— Sicché noi nani saremmo dello stesso lignaggio dei gambalunga spilungoni che si credono più vicini di noi al cielo?— chiese una nonnina che aveva la voce curva come la sua schiena
— Non ho detto questo, ma solo che tutti proveniamo dalla “Non esistenza”, la quale precede l’esistenza, ed entrambe zampillano dal Mistero scuro che si è fatto chiaro senza che i nostri occhi lo riescano a vedere—…
— Almeno fino a quando i funghi non ne mostreranno l’assenza di forma—
A quel punto nessuno ebbe, per quello scorcio di ormai mattino, più niente da aggiungere, e persino il gallo fu soddisfatto di avere avuto la conferma di ciò che aveva sempre sospettato essere la verità, senza aver mai avuto il coraggio di rivelarla al mondo: viene prima l’uovo della gallina e lui, che era il papà dell’uovo… veniva prima ancora…



Responsabilità individuali

La vita non prende mai in giro gli esseri che vivono, ma sono questi esseri che si mettono, o sono messi, in situazioni ridicole. Allo stesso modo gli esseri sono responsabili degli equilibri che spezzano e del male che fanno anche se, spesso, la colpa se la prende la vita e la Realtà assoluta che l'ha generata.

mercoledì 5 marzo 2014

Dalla mia Wikipedia personale: Spassarsela


L'arte del portare a spasso la propria incoscienza, per strade che la coscienza non osa percorrere...

L'insuccesso

La facilità con la quale so dare definizioni precise mi intimorisce molto, perché in un universo dove ogni bersaglio si sposta di continuo, definire corrisponde al possesso dell'unica certezza disponibile, quella dell'insuccesso.

Cosa è l'insuccesso?

L'insuccesso sarebbe un epilogo perennemente aperto al dialogo col successo, se a quest'ultimo il dialogare non risultasse tanto fastidioso.

martedì 4 marzo 2014

L'atto del morire

Non saprei dire quanto tempo della mia vita ho trascorso pensando alla morte, ma non è poco; per questo la temo, perché non vorrei scoprire che la morte non è davvero la fine della vita, se non nel senso che costituisce soltanto l'inizio di qualcosa d'altro che avrebbe meritato più attenzione di quanto non meriti, in sé, l'atto del morire.

I motivi per essere generosi sono troppi per essere ricordati

Quando penso agli anni della mia giovinezza mi viene la pelle d'oca, e mi riesce difficile ricordare quali potessero essere le ragioni che inclinavano il mio agire alla generosità. Passati troppi anni da allora oggi sono ancora generoso con gli altri, soprattutto quando sono degli sconosciuti, e lo sono per gli stessi motivi che trovavo giusti a quei tempi come sono ancora giusti oggi, anche se, a ben guardare, non ricordo più quali siano stati allora e quali siano ora.

lunedì 3 marzo 2014

Facile da capire


La prova che la felicità sia solo uno stato d'animo, volubile quando non è conseguenza della consapevolezza delle essenziali ragioni d'essere dell'esistenza, è data dal fatto che una infelicità, della quale siano conosciute le ragioni, sia preferibile a una felicità della quale si ignorino le cause.

domenica 2 marzo 2014

Cos'è, per me, la poesia

La poesia è il modo in cui ognuno tenta di raccontare ciò che intuisce del Mistero, lo stesso che dà sapore alle lacrime e colore ai sorrisi, nei quali l'esistenza nasconde le proprie essenziali ragioni d'essere.

Assonanze singolari

Il cinefilo è come un cinofilo che non dà importanza alla fedeltà...



L'altruismo

Chi è generoso e altruista, senza avere secondi fini, deve aspettarsi di essere messo al centro del biasimo di tutti coloro che considerano l'altruismo... essere la peggiore forma di ipocrisia.

Il fan

Il fan è un individuo il quale, avendo voluto essere al posto della persona che fanaticamente ammira, le conferisce tutte le qualità che avrebbe voluto possedere, più altre che ancora non è in grado di immaginare... Il fan è livido di una fanatica invidia, e quando al centro dell'ammirazione c'è Dio… si criticano i diversi credendo di essere Dio.

Cosa davvero è quella orribile cosa chiamata "autostima"

Quando ci si chiedesse se, essendo qualcun altro, ci si potrebbe innamorare della persona che si è, e la risposta fosse legata al provare pietosa comprensione per ciò che si è, ci si dovrebbe soffermare sul fatto che la compassione non è l'amore, ma è la condivisione di una sofferenza.

Scrivere è così facile...


Scrivere è così facile perché tra le parole, e le verità che esse tentano di nascondere intrecciandosi tra loro, la distanza è grande e percorribile solo dal silenzio, o dalla capacità di sacrificare se stessi.

L'ingenuità del credere e del non credere


Il credere, allo stesso modo del non credere e diversamente dal conoscere, implica ingenuità, ma è pur vero che quella ingenuità è necessaria per dar modo alle altre persone di rivelare le proprie reali intenzioni. L'ingenuità diviene pericolosa quando, conosciute le altrui intenzioni, si persiste nel voler ignorare quali saranno le loro conseguenze.

Fortuna e sfortuna

Per me la fortuna è quell'insieme di accidenti che la vita manda per preparare le persone alla comprensione della sfortuna che seguirà.
La sfortuna, al contrario, è data dall'insieme di accidenti che disporranno alla meraviglia quando si saranno rivelati fortunosi.
In realtà fortuna e sfortuna sono entrambe funzionali alla comprensione delle leggi universali, le quali sono perfette anche quando sembrano essere frutto dell'accidentale incontro determinato da cause che rimarranno ignote.

Cosa di poco conto

Io mi sento protetto, so di esserlo per le cose che mi hanno sfiorato senza potermi far del male, e sono tante. Nonostante questa consapevolezza riesco a lamentarmi di questa vita, che lascio scivolar via dalle mie mani come fosse cosa di poco conto, come se dovessi vendicarmi di lei. Se dovessimo scambiarci i ruoli io lascerei scivolar via me, perché mi considererei cosa di poco conto, ma per fortuna la vita non sono io.

sabato 1 marzo 2014

Consigli brevi sul come scrivere racconti brevissimi

Il racconto brevissimo si distingue dal racconto breve, e a maggior ragione dal romanzo, per il fatto che chi scrive non deve impegnarsi per ricordare il contenuto della ventesima pagina.

Scrivere storiellette brevissime sembrerebbe facile, invece è facilissimo, perché si è sempre aiutati, male che vada il processo immaginativo, dalla tragica morte improvvisa dei personaggi.

L'autore di taccontini express non soffre del famigerato "blocco dello scrittore", perché per lui sancisce solo la fine del racconto.

Il racconto brevissimo non necessita di alcuna particolare fantasia, questo perché la fantasia, quando è lasciata libera di correre, crea associazioni multiple che trasformano il raccontino in un romanzo palloso. Non c'è neppure la necessità di disporre di una notevole capacità immaginativa, perché quando la si avesse, si smetterebbe di scrivere per darsi ad altre attività, più remunerative tanto quanto illegali.

A sigillo di queste preziose perle pubblicherò un'estemporanea storiella esemplificativa, che non sfigurerebbe nell'Antico Testamento biblico:


Il settimo Arconte, Yaltabaoth, aveva appena sputato sul pezzo d'argilla che sarebbe diventato un essere umano, e in quello sputo simbolico si concentrò l'amaro destino che avrebbe inchiodato il futuro dell'umanità. Nascita e morte si alternarono in cicli sempre più stretti, analoghi a quelli disegnati in cielo dagli avvoltoi, che modulano la propria discesa verso la carcassa putrefatta del loro penoso sopravvivere. Un universo nuovo di zecca orientava le proprie speranze, rifiutandosi di dar loro un senso che fosse significativo, contando solo sulla divina immaginazione che aveva affidato all'inter-divoramento dei suoi componenti le proprie possibilità di riuscire a campare, al modico prezzo della perdita di dignità, concetto di caratura morale che si consolidò molto più tardi, quando gli esseri si accorsero che la predazione indiscriminata dava turbolenze intestinali e, occasionalmente, persino la morte.

Attorno al "caso"...

Un evento, quando ha cause che sono ignorate, è detto essere "casuale", anche quando è evidente che senza una causa nessun accadimento può realizzarsi. Quando si crede al caso, dunque all'assenza di una consequenzialità che leghi ogni effetto alla propria causa, si è costretti a dover ammettere che il proprio credere sia il frutto dell'assenza di una sua propria causa, la quale corrisponderebbe alla propria ragione d'essere, il che significa che la propria intelligenza non ha alcuna ragione per essere. Questo significa anche che essa non è, propriamente, meritevole di essere definita un'intelligenza; è solo in quest'ultimo caso che chi crede al caso non può essere smentito...