sabato 22 marzo 2014

La morte muta

La morte era arrivata a piedi, lasciandogli il tempo di rimediare a molte delle ingiustizie commesse, cosa che lui si era ben guardato dal fare perché, prevedendo la sua imminente dipartita da questa valle di lacrime, gli pareva ridicolo occuparsi di inezie che, al peggio, avrebbero aumentato, sì e no, di due o tre gradi il calor vivo delle fiamme che avrebbero arrostito la sua anima, perennemente congelata quando era in vita, dalla stessa deprecazione della quale anche il suo corpo era stato oggetto.
Lui si era dimostrato pronto a ricevere la morte come chi, assediato dalla verità del suo infame aver vissuto, non spera più di cavarsela fuggendo dall'uscita secondaria che attraversa la menzogna.
Finalmente esalato l'ultimo fiato, dopo aver percorso il tunnel che conduceva alla luce, si meravigliò di non essere pervaso dall'effluvio di piacere che, i ritornati in vita dal coma descrivevano, da dietro un sorriso che ora gli sembrava ebete.
Nessun parente defunto c'era ad attenderlo, ma se l'aspettava, dato che mai aveva portato ad alcuno un fiore, con quello che costavano l'unica ragione per andare al cimitero gli era sempre sembrata quella di frugare nei cassonetti interni, alla ricerca dei vasi con piantine vive buttate da coloro che, probabilmente, stavano godendosi delle cospicue eredità.
Comunque lui era tranquillo, non ne aveva mai rubati perché i fiori li odiava, tanto da strapparli dalla siepe del suo vicino tutte le volte che, costeggiandola, sputava all'interno del giardino dove giocavano i bambini.

Superate che furono tutte le stazioni, dove i defunti non pagano biglietto, intravide una densa foschia, piena di ombre indistinte che si muovevano piano, come fossero state in attesa di una chiamata. La sua coscienza, se così si può chiamarla, avvicinò quella che sembrava più vitale per avere informazioni, ma quella gli scivolò lontano, sfuggente come un'anguilla.
Prese a muoversi in sintonia col ritmo che avevano le altre fumose presenze, e attese che la morte gli dicesse che fare. Aveva vissuto nella paura di questo momento e ora si ritrovava lì, come tutti gli altri, senza saper dove andare, come se la morte fosse muta testimone di una follia che non era finita nello stesso buco nero dove la vita sprofonda, trascinandosi appresso solo i dolci ricordi.

Un'ondata improvvisa mosse la nebbia, che si disperse rapida in mille rivoli, come accade alle fogne quando entrano nel mare, e la sua ombra si guardò attorno curiosa, della stessa curiosità che mostravano di avere le altre scure figure. 
Come provenisse da tutti i lati che circondavano il suo essere di sogno, una vibrazione si tramutò presto in una presenza diversa e luminosa, un chiarore che non allungava ombre sovrastò l'angoscia comune, e ognuno seppe che la morte era muta, e mai avrebbe rivelato fiori che le presenze oscure non avevano saputo cogliere in vita.

Un terrore gelido s'insinuò nelle coscienze abbattute dalla verità, intonando sordi colpi dove un tempo avevano pulsato le pietre che simulavano la presenza di cuori, e ognuno seppe che altre forme sarebbero arrivate a rimpiazzare la loro oscurità, che si sarebbe annidata, fondendosi ai ricordi amari, in un simulacro che parodiava la sacralità di un vivere, al quale era stata sottratta la capacità di amare.

L'ombra si rannicchiò scavando nel proprio dolore, sapendo solo che non poteva essere infinito, e che alla fine sarebbe uscita a nuova luce, frignando come un infante che non sa da dove è venuto.

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