venerdì 10 febbraio 2012

L'evoluzione


L'auditorium era percorso da un brusio uniforme e fitto il quale, dal suo ronzare in alto guardava, seduta in basso, la ragione del suo esistere: una moltitudine di studenti agitati dalla notizia che, quel giorno, la lezione di scienze l’avrebbe esposta addirittura un professorone, insignito della prestigiosa onorificenza concessa dal miglior gota scientifico e letterario che l'umanità possa vantare, quello che pungeva il petto degli scienziati e dei letterati col premio Nobel.
Il silenzio entrò col professore e anche il rumore si sedette in attesa spasmodica, oggi avrebbe saputo aspettare pur di cogliere l'essenza della vita che era, per lui, ancora troppo poco rumorosa.
L'uomo si avvicinò al microfono, ci soffiò sopra per testarne il timbro e uno sputazzo si nascose veloce nella spugna nera e fetida.
— Buongiorno cari studenti enti enti…— disse, senza trasporto emotivo. 
Lui li detestava uno per uno quei giovinastri, perché si sarebbero bevuti il suo sapere con la stessa sete irriflessiva che aveva avuto lui quando si era ubriacato, da giovane, delle stesse melense ipotesi alle quali aveva interiormente smesso di credere, dopo la tragica e inspiegabile morte della sua amata moglie.
Iniziò, flemmatico, a infilar parole su una collana di conoscenze che non avrebbe mai trovato chiusura:
— Il sapere dell'umanità ha fatto passi da gigante da quando la sinfonia espressa dalla sola nota dell'antico conoscere si è complicata nel magnifico concerto che innalziamo al cielo oggi— il microfono stridette a questo dire, fastidiosamente nevrastenico in un sovrapporsi di decibel che anticipava quello delle nuvole, e il cui suono stonava peggio di quella sola nota appena evocata. 
Appena si calmò quel riverbero, continuò, innervosito dall'ostilità dell'impianto sonoro e da una strana oscurità che scivolava giù, attraversando le finestre, dall'alto dell'enorme salone.
— La cultura ha preso forma dalla concentrazione delle intelligenze, in lotta contro l'oscurità delle profonde caverne dell'animo, e ha contribuito ad affinare lo spirito di un'umanità che si è così unita, abbracciandosi nella consapevolezza di una ricchezza rappresentata dall'armonizzarsi delle proprie, apprezzate, diversità— il silenzio, che era entrato col professore, a questa affermazione si vergognò orribilmente e decise di andare a sedersi accanto al brusio, sperando di confonderci dentro anche il proprio pensiero che, se fosse stato espresso, sarebbe stato un vomito freddo.
Il timbro della sua voce si impostò sui bassi, come si usa nel declamare verità inconfutabilmente precise, o quando si spera di non far fischiare il microfono.
— Quelle stesse intelligenze che sono ora sedute a un passo dallo scoprire la loro origine—
Una vocina secca si alzò irridente dalle scalinate piene, senza che un solo volto ne tradisse la paternità.
— Cadute, vorrà dire!— 
Uno stato d'animo da combattimento di galli, ondeggiando rapido tra gli astanti, insinuò loro l'aspettativa di una risposta, lampeggiante nel fuoco di un unico e molteplice sguardo che al professorone parve un chiodo da crocifisso.
— No!—
Si riprese svelto, in un accenno con il dito che voleva indicare l'alto, ma che s'infilò subito, insieme alla mano di cui faceva parte, in una meno compromettente tasca dei pantaloni.
— Intendevo in attesa nella profonda riflessione—
Aggiunse rapido.
— Perché la comunità scientifica è stanca di lastricare il proprio percorso di teorie fallimentari—
Concluse, disprezzandosi così intimamente da neanche accorgersene
— Ora abbiamo la Macchina al Super-protosincrotone che ce lo consente!—
Brusio e silenzio si scambiarono di posto inorriditi, mentre gli studenti sobbalzarono di meraviglia. Già il nome pareva loro meno roboante di "Fulmicotone" e questo parve bastare loro per non fischiare il professore, anche se questa affermazione suonava simile a quella, fatta l'anno prima, sulla reazione nucleare a freddo, e che si era poi rivelata essere una bufala, sparata da scienziati che ancora occupavano i letti del reparto "Grandi ustionati".
— A me è sembrata essere una bicicletta!—
Insinuò la solita impersonale vocina, spuntata dalla massa in attesa di spiegazioni
— Quella la uso per non inquinare l'aria!— replicò imbarazzato il Nobel
— Ah... perché ne è rimasta ancora?— stuzzicò la voce sommersa.
Il professorone finse di non sentire e s'inoltrò nella descrizione della misteriosa macchina:
— Fucilate di protoni, attraverso una cascata di acceleratori proto-sincrotonici, che spingono questi protoni a energie relativistiche, producono fasci di spaventosa energia che vengono, a loro volta, sparati attraverso delle linee di transfer che si dispiegano, cento metri sottoterra, per una trentina di chilometri. Quando la circolazione dei fasci di energia si sarà stabilizzata e accordata, i fasci saranno fatti entrare in collisione tra loro...—
— Magari!— disse il solito facinoroso comunista, seduto in ultima fila.
Con un gesto enfatico e commisurato all'evento, il professore lasciò che l'intuito degli studenti anticipasse loro, attraverso l'immaginazione ispirata, quali vantaggi avrebbero potuto godere le nuove generazioni da quel microscopico Big Bang artificiale: finalmente l'uomo sarebbe assurto alla dignità di co-creatore con un Dio il quale, prima dell'Homo Scientificus, era stato solo un passabile apprendista.
La platea giaceva ammutolita e ammirata da quel futuro radioso che stava accelerando la sua meravigliosa corsa, senza più tentennamenti, e si raccolse in gruppi disordinati, fuoriuscendo dai banchi di vecchio e pregevole legno, intarsiato ancora a mano da un ormai remoto passato. Come erano ridicoli quegli arzigogoli nel legno di quercia, in confronto agli intrecci di cavi sotterranei percorsi dal tumultuoso genio umano.
Quelle migliaia di giovani speranzosi stettero ancora a lungo, fuori dall'Ateneo, ad annodare ipotesi coraggiose attorno all'incredibile utilità del poter creare dal nulla, mentre il professore cercava, senza riuscirci, di rimettere la catena della sua bicicletta sulla corona della quale si era, simbolicamente, liberata.

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