giovedì 16 febbraio 2012

Psicoterapia analitica



Il giorno stabilito per l'appuntamento l'ing. Rubizzi era stranamente meno agitato del solito, come se il solo fatto di aver deciso di risolvere i propri problemi avesse già iniziato a risolverglieli, e si sentiva come si sente uno che non sa nuotare e che si trova a mezz'aria, mentre esegue un tuffo da grande altezza che un suo conoscente, in vena di scherzi pesanti, l'aveva spinto a fare; spinto naturalmente da una roccia, nel vero senso fisico del termine... Ora non gli restava altro che trattenere il fiato, chiudere gli occhi, tendere le mani in avanti e suonare il campanello. Il "clic" di un automatismo gli aprì la pesante porta blindata e lo introdusse nell'anticamera, vuota come i libri che riempivano i suoi scaffali. Lo psicoterapeuta aveva arredato la camera obbedendo alle linee cognitive della sua professione, e quei libri erano copertine vuote, incollate tra loro, ma intarsiate da bordature dorate, fasulle come le terapie che rimestano nel subconscio dei pazienti, protetto dalle caratteriali incrostazioni corazzate da demolire. Cosa si sarebbe scovato sotto costituiva materiale per far sbellicare dalle risa i colleghi al club dell'Ordine degli psicologi, dove i professionisti della ricerca interiore applicata al disperato di turno, trascorrevano il tempo libero facendosi di cocaina come il precursore della psicanalisi e loro mentore dott. Freud. Il nostro professionista era, però, junghiano e detestava la coca, preferendole nerborute canne di marijuana e moderate dosi di psylocibina. L'LSD lo somministrava ai pazienti in sedute segrete che si svolgevano in una stanza, con le pareti imbottite, che gli psicologi avevano affittato e utilizzavano a turno, a volte coi pazienti e altre volte con le amanti. In mezzo alla sala d'aspetto dello studio dove l'Ingegner Rubizzi stava seduto a due dita di distanza dal cuscino sottostante, perché aveva, tra le altre patologie, anche quella dei batteri che gli tendevano agguati nascondendosi ovunque, su un basso tavolino erano ammucchiate in disordine alcune riviste che pretendevano esaurire la stupidità del lettore da tutti i punti di vista possibili. Rubizzi ne prese una con la copertina patinata che mostrava una Porsche camperizzata. L'attrasse l'associazione della velocità pura che si trascinava appresso il peso della famiglia. Naturalmente si trattava di un fotomontaggio, ma nessuno che si trovasse nell'anticamera di uno psicoanalista avrebbe potuto vantare la lucidità per accorgersene. Finalmente lo Psicologo conosciuto al Poligono di tiro al piccione, spalancata la porta del suo studio a grandi vetrate che davano sul terrazzo pieno di piante di plastica, lo invitò a entrare. Rubizzi si guardò intorno e si sedette, discretamente imbarazzato, sul divano anatomico in pelle sintetica, succhiandosi il labbro malconcio. Lo psicologo si presentò col distacco di chi non ti ha mai visto:- Piacere, Mario, Robespierre per i pazienti...- poi si rilassò in una risata cristallina dicendo, dietro a occhietti scaltri:- Non ci sarai cascato, vero?- L'Ing. Rubizzi si sentì improvvisamente felice e smise di martoriarsi le labbra, cominciando a strapparsi le pellicine attorno alle unghie. Il primo e fondamentale passo, nella cura che lo avrebbe riportato a una normalità che non aveva mai conosciuto, era stato compiuto con successo. 


2 commenti: