giovedì 12 aprile 2012

Il Trial come disciplina dello Spirito


Io ho avuto la sventura di aver praticato il trial con due trialisti del villaggetto montano dove ora vivo che erano particolarmente incoscienti, oltre che bravi. Uno era specializzato nei salitoni impossibili e l'altro nelle discese fatte praticamente con la sola ruota anteriore. Poi, in leggero ritardo arrivavo io, specializzato nelle cadute, sia in discesa che in salita. Ehh... se li ho fatti penare quei due... morivano dall'invidia loro, che avevano un timore mortale solo ad appoggiare un piede a terra senza nemmeno sospettare l'estremo fascino della sopravvivenza, quando è sperimentata con tutti i lati di un corpo che dava del tu al terreno sottostante senza alcun timore riverenziale. Certo qualcosina da quei due malnati l'ho dovuta imparare anch'io, per citare a casaccio non mi iscrivevo alle gare che facevano per non mortificarli, sapete com'è... quando si è amici si devono fare anche dei sacrifici. A una gara, comunque, mi sono iscritto, però senza dirglielo. Una gara indoor organizzata da un prete della brianza, probabilmente pensata per distrarre i tossici di una qualche comunità e convincerli che c'erano altre cose interessanti oltre la droga. Mi ci sono iscritto perché, mi son detto, è robetta da oratorio e non si accorgerà nessuno che sono un impedito... Arrivo nel primo pomeriggio col mio Ford Transit, con sopra la mia amata Fantic 300, elaborata dalla Casa tramite il concessionario Barlera di via Gallarate a Milano. Io mi allenavo con Oscar, suo figlio e seguidores di Havala, pilota ufficiale Fantic. Arrivo e mi dicono che avrei dovuto presentarmi la mattina per testare le prove. Figurarsi se io testo qualcosa, non mi conoscessero... Io sono un istintivo che non si fa sconti nell'affrontare le esperienze non alla sua portata. Comunque era una gara a coppie, e mi assegnano uno col Fantic 303 bello lucido, vicino al quale la mia moto sembrava una gallina accovacciata a covare disperazione. Siamo i primi ad affrontare la prima sezione. Parte lui per primo, e salta sul cofano di una 131 fiat e poi, mentre sale sul tetto, appoggia un piede dove non c'era il parabrezza e nemmeno materiale a riempire l'abitacolo vuoto dell'auto. La gamba gli s'infila all'interno e il suo corpo si chiude all'esterno del fianco dell'auto spaccandogli il ginocchio, che si è chiuso lateralmente come un portafoglio gettato via da un ladro. Arriva l'ambulanza e se lo porta via, zoppo per sempre e col bastone. Dopo mezz'ora in un'attesa da incubo arriva il mio turno: memore delle possibili e drammatiche conseguenze, ma anche avvezzo alle disgrazie, mi lancio contro la vettura con il piglio enduristico di chi è inseguito da un branco di lupi. Il cofano manco lo tocco e passo direttamente sul tetto della macchina, mi fermo in bilico e vedo che la moto non ci sta in mezzo tra la 131 e la cinquecento che veniva subito dopo e che dovevo superare. Sto lì, per un tempo che non saprei dire, in equilibrio non solo sulla moto, ma anche sul da farsi perché l'unica via percorribile era quella di uno zompo diretto sul tetto della cinquecento. Spalanco il gas e la gallina arriva male sull'altro tetto, male e storta. Io, ormai sotto un penoso stato di shock cerco scampo di lato e piombo sulla faccia incredula di un acchiappa piloti che stava sotto. Quasi l'ammazzo e, in più, mi si spezza un'aletta della testa del Fantic, ma a oggi non ho ancora capito dove ha picchiato per rompersi. Il giudice mi ha rifilato un bel cinque che non è stato l'unico nella quindicina di zone venute dopo. La gara l'ho finita, certo, con crampi ovunque e la moto che pareva un modello futuristico ancora in arretrato stato di progettazione, ma mi sono guadagnato la stima di un cospicuo numero di tossici che in quel giorno hanno capito che, nella vita di tutti, anche in quella degli sportivi, non c'è niente di meglio del drogarsi...

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