mercoledì 5 febbraio 2014

Sulla Giustizia

Chiunque abbia subìto una qualsiasi ingiustizia, la quale non abbia avuto modo di ricomporsi nella giustizia data dalla verità, si chiede se ci sia una giustizia superiore oltre l'esistenza umana. È necessario, prima di tentare una risposta, chiedersi quale sia il fine dell'esistenza, perché se la giustizia fosse quel fine allora dovrà esserci necessariamente una dimensione nella quale essa possa e debba attuarsi. Ora occorre considerare che il fine dell'esistenza possa essere la perfezione: nella possibilità di perfezione sta necessariamente ogni realtà che sia imperfetta, ingiustizia compresa, ma sta anche tutto il resto delle realtà particolari che compongono la realtà relativa generale. Dunque si tratterà di stabilire una gerarchia di valori, nella quale ordinare le diverse realtà particolari, in modo da capire quale possa essere quella più importante ai fini che l'esistenza si propone di avere. Se il fine è la perfezione, l'elemento che appare essere più importante per poterla conseguire è la consapevolezza intellettuale di un essere, senza la quale la perfezione di un essere non potrebbe neppure essere immaginata. Assieme alla consapevolezza delle ragioni d'essere di sé e dell'esistenza, dev'esserci anche la perfezione dell'amore e quella della volontà, perché se una di queste perfezioni dovesse mancare la perfezione, che è anche armonia di uno stato dell'essere, non potrebbe realizzarsi. La giustizia è importante in quanto elemento equilibratore di ogni disarmonia, ma appare essere secondaria nei confronti delle tre condizioni necessarie all'armonia di un essere; secondaria perché non necessaria a che una persona raggiunga la perfezione del proprio stato. Perfezione che include la capacità, tutta spirituale, di sapersi sacrificare per il bene altrui. Sacrificio che ha bisogno, per essere sicuro della perfezione delle proprie qualità, di sopportare le ingiustizie. È per questo che la giustizia non è al primo posto nella gerarchia che ordina il tutto, orientandone il senso, che è direzione, verso la perfezione. Ed è per la stessa ragione che la consapevolezza non potrebbe essere perfetta senza dover lottare contro il male e le ingiustizie. Un essere pienamente realizzato, liberato dunque dai vincoli esistenziali dalla propria raggiunta perfezione, non avrà più la necessità di chiedere giustizia per sé, perché le ingiustizie subite lo avranno aiutato a raggiungere lo stato di perfezione in cui si trova a essere. Per i motivi che ho illustrato, penso che l'esistenza non sia fondata sulla esigenza di avere sempre una giustizia assicurata, ma lo sia sulla perfezione della capacità di comprendere la verità, e nel saperla riconoscere anche all'interno delle cause che hanno generato l'ingiustizia. Per le stesse ragioni esposte, sarà più importante chiedere giustizia per gli altri che non per sé. Nel quadro che ho prospettato trova posto anche il concetto di redenzione, attraverso il sincero pentimento della persona che non ha sempre modo di poter aggiustare i danni fatti, ma avrà comunque il dovere di riequilibrare quelli che saranno alla sua portata d'azione.

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