martedì 14 maggio 2013

I racconti dell'incubo: Dio è ovunque


All'aprirsi pesante del grande portone di quercia un soffio gelido entrò prima di tutti, insinuandosi nelle crepe aperte dalla morte dei simboli sacri che un mosaico, antico e consunto, mostrava a un cielo che le alte navate, agitate di demoni, oscuravano. "Deus ubicumque est"... esaltava una scritta gotica, ingrigita di muffe, che dominava l'abside dentro al quale una grande croce inchiodava, impietosa, un Cristo dagli occhi rassegnati e rivolti verso l’alto. In lenta e monotona processione sguardi cupi tagliavano il buio da volti deformati dall’odio, e varcavano il sacro confine che lasciava fuori il dubbio per non far entrare certezze. Quei tenebrosi corpi lentamente si disposero in strette file parallele, legate dall’astio che le teneva tenacemente ordinate, e un comune destino di esecrabile sofferenza le obbligava a invocare una morte atroce per nemici che non potevano perdonare. Rimpiccioliti, in fondo al girone infernale, un prete e due servi parevano artigli coi quali il fetore ornava la bestemmia di trovarsi in quel luogo, voluto dalla santità di coloro che se ne erano andati, disgustati dall’umano degrado. Nessuno di quegli insulti al cielo conosceva il momento esatto nel quale piegarsi, e tutti si inginocchiavano soltanto per mostrare all’altro di esserne stati capaci. La funzione iniziò col solito lamento prolungato, quasi reclamasse una grazia che rifiutava da sempre, e fu seguito dall’incespicare di formule che avanzavano feroci, in un coro imparato dalla memoria che ha ogni meccanismo spento: “Deus ubicumque est, et cum Spiritu tuo”… 
Cristo, disperato dai chiodi di quelle volontà perdute, aspettava come sempre e guardava alto, pregando il Padre, anche se sapeva che nemmeno quel giorno una mano ne avrebbe accarezzata un’altra allo scopo di farlo scendere dalla croce.
“Deus ubicumque est”… le gole urlavano, ignorando che fosse vero, e che solo un atto d’amore avrebbe potuto fermare il male.

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