venerdì 4 gennaio 2013

Modi diversi di intendere le "disgrazie"


L'idea che una disgrazia possa proteggere da altre disgrazie più pesanti non sfiora mai l'immaginazione di quanti si lamentano di essere dei disgraziati. Io non so nulla delle ragioni che ha la vita per comportarsi come fa, ma ho imparato a riconoscere l'intelligenza attraverso la quale la vita si manifesta, e sono certo dietro a questa non possa nascondersi l'ingiustizia. È per questo che mi astengo dal giudicare i modi, apparentemente discutibili, nei quali l'esistenza dona se stessa. Quello che segue è il racconto veritiero di una cosa accadutami quando lavoravo nel reparto delle patologie drammatiche dell'Istituto Don Carlo Gnocchi di Milano:


Chicco

Correva, anzi, zoppicava l'anno 1983, un anno speciale per me perché il Padreterno, contrariamente a quanto fa di solito, esaudì un mio desiderio. In quel tempo facevo il meccanico d'auto nell'officina di mio padre; era quello un mestiere di casta che non mi dispiaceva affatto, se si vuole ignorare un certo afrore di grasso e olio che ti avvolge e che è comunque preferibile a quello che circonda un medico autoptico. 
C'era, sul percorso che dalla mia casa conduceva all'officina, un Istituto per ragazzi speciali, che io osservavo tutti i giorni passeggiare, alle ore più disparate, accompagnati dai loro assistenti. Immagino sia così che il Padreterno accordi l'esca alla preda prescelta. Mi piaceva quel loro modo discreto e timido di essere al mondo; mi piacevano loro, anche se non potrei dire che una certa mia propensione al pietismo non ci abbia messo la zampa. Di fatto formulai un desiderio, e anche senza aver avuto in bocca il primo frutto di stagione il Padreterno parve ascoltarmi. 
Una settimana dopo mi iscrissi all'ufficio di collocamento, ma poi non ci andai mai. Si sa come sono inconsistenti i desideri quando costano fatica. Eppure… un paio di mesi dopo un mio amico mi chiese se potevo aiutarlo, accompagnandolo al Collocamento per iscriversi a sua volta, e questo mi mostrò quanto il Creatore di mondi non lasci facilmente la presa. Arrivati in quello stanzone spiegai al mio amico, Claudio detto "il pazzo", cosa dovesse fare, e intanto diedi un'occhiata al tabellone dei lavori disponibili… ero in graduatoria per un posto di accompagnatore sul pullman che trasportava i ragazzi all'Istituto Don Carlo Gnocchi di Milano. Ero al primo posto, e proprio in quel giorno, di quella graduatoria che sarebbe scaduta, per quanto riguardava me, a sera. Non credevo ai miei occhi. 
Andai allo sportello e firmai. Iniziai ad accompagnare i ragazzi andandoli a prendere a casa, per ricondurveli nel tardo pomeriggio. Io sono uno che scherza continuamente e prende in giro il mondo intero, me compreso, e questo ai miei nuovi amici piaceva, tanto da farsi prendere in giro ridendoci sopra divertiti. Giocavamo tutto il tempo, e il Padreterno giocava insieme a noi. Dopo un anno mi promossero all'assistenza in un reparto di degenza interna, ma dovetti presentare una lettera accorata del Parroco di Quarto Oggiaro, il quartiere malfamato dove abitavo, che era una specie di prete operaio, semi comunista, che attestava quanto fosse affidabile quel volenteroso ragazzo che in chiesa non aveva mai messo un piede, naturalmente il prete tralasciò quest'ultimo, insignificante, dettaglio. Don Tommaso, probabilmente, era stato ordinato dall'Assoluto in persona, anche se, è scontato, l'Assoluto persona non è, essendo incommensurabilmente più che il semplice essere.Il reparto nel quale prestavo servizio, come assistente socio-sanitario, era costituito da ragazzi con diverse patologie a diversi gradi di problematicità, ma quella più presente era la distrofia di Duchénne, quella che non perdona e non riconosce che raramente la possibilità di passare i trenta anni d'età e, quando lo fa, rimedia subito. 
Di norma è già molto se ti lascia vivere fino ai venticinque. Questa è una malattia genetica che affligge principalmente i maschi e si mostra tra i sei e i nove anni di vita del bambino, anche se oggi, con l'esame del DNA, è possibile scoprirla con estremo anticipo sulla comparsa dei primi sintomi. Io sapevo quasi niente di queste caratteristiche della Duchénne che comportavano serie conseguenze, dal momento che una famiglia ne scopriva la sussistenza quando il primo figlio avuto aveva ormai, alle sue spalle, altri fratelli che si sarebbero, con tutta probabilità, ammalati a loro volta.Ignorando queste questioni stavo parlando con il mio collega dell'assurdità, a mio vedere, che una famiglia continuasse a fare figli dopo il primo nel quale si fosse manifestata la distrofia, e non mi accorsi di avere Chicco e la sua carrozzina alle mie spalle. Chicco era il primo di quattro fratelli distrofici presenti in reparto. Lui si avvicinò e mi diede un colpetto delicato alla caviglia, con il poggiapiedi anteriore della carrozzina elettrica, dicendomi — Cazzo dici, stronzo, anche se sono distrofico a me piace vivere, e piace anche ai miei fratelli!—Questo mi lasciò soltanto la necessità di riconoscere la mia inadeguatezza e vigliaccheria nei confronti del vivere.Ciao Chicco, Giuseppe, Giambattista, Alfredo, cari amici miei, il coraggio che ho visto in voi non lo dimenticherò, e mi dà la misura di quanto a me ancora manchi.

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